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Passaggio ad El-Alamein (prima parte)

Passaggio ad El-Alamein (prima parte)

La costa mediterranea egiziana è un misto di deserto, sabbia e mare. E’ il punto dove il deserto si unisce all’acqua, quasi un paradosso se si pensa a cosa questi due elementi rappresentino. Ed è ancora più strano pensare che quella striscia di terra è stata protagonista di sanguinose battaglie durante la seconda guerra mondiale. Quando si esce da Alessandria per percorrere il deserto, lo scenario cambia completamente. Grandi costruzioni, villaggi turistici, condomini, moschee. Un susseguirsi di villette e moschee, che in fase di costruzione hanno lo stesso colore del deserto. Le monarchie sunnite investono da tempo sulla costa mediterranea: costruiscono case, alberghi e moschee, tutte sul mare, come al gioco del monopoli quando hai le proprietà dello stesso colore. Per un giorno lascio perdere la tesi (non voglio arrivare al confine con la Libia, anche se sono su quella direzione) e accompagno il direttore del Sacrario Militare, che ha il suo ufficio al Consolato.

Tanti chilometri nel deserto per arrivare ad El-Alamein, battaglia spesso citata nei libri di storia, una delle tante disfatte dell’Italia alleata dell’Asse. Il Sacrario ha ospiti e noi andiamo ad accoglierli. Sono i parenti delle vittime della battaglia che ogni anno vanno a portare un fiore. Ci sono ancora molti morti che la sabbia ha sepolto, ma, non possono essere scavati e posti nel Sacrario: ora che questo punto del Sahara è egiziano, la terra e quello che vi contiene è di proprietà dell’Egitto. Il sacrario ha come vicino una moschea e da buon vicini hanno trovato un accordo: il muezzin ha diminuito il numero di altoparlanti perché, il suo pubblico è fatto di soldati morti e alcune abitazioni sede della polizia. Un esempio di convivenza interreligiosa. Il custode è un egiziano che insieme alla sua famiglia, gestisce i rapporti con i locali, cura il museo e il sacrario. La visita inizia al mausoleo. L’interno è costituito da un susseguirsi di tombe, molte delle quali ignote che raccolgono i resti dei soldati italiani appartenenti alla Folgore, sconfitti dall’esercito inglese. Il sacrario è enorme e lo ideò il Colonello e ingegniere Paolo Caccia Dominioni che partecipò alla prima e alla seconda battaglia di El-Alamein. Ma è il museo la parte più interessante per capire come sono andate le cose. Intanto, la scelta di indossare le ballerine, si rivela pessima: ho i piedi pieni di sabbia che continua ad accumularsi. (continua)

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Alessandria, finalmente

Alessandria, finalmente

Ore 15 del 10 Settembre 2010. Ad accogliermi c’è il caldo, il silenzio, sabbia, due bambine che giocano per la strada. Arrivo in un’Alessandria d’Egitto deserta con un’auto che mi ha prelevato dall’aeroporto del Cairo. Non era la mia prima volta in Egitto, conoscevo già le formalità del visto, sapevo già che l’addetto alla sicurezza mi avrebbe chiesto perché viaggiavo da sola: avrei risposto in maniera educata e mi sarei diretta verso l’uscita con il bagaglio. Ero stata al Cairo all’incirca un anno prima per motivi personali, ero di nuovo lì per un’esperienza di stage. Non parlo l’arabo, me la cavo con altre lingue, ma gli alessandrini conoscono anche l’inglese e il francese. Non ricordo la durata della traversata nel deserto (silenzio, sabbia, l’autista che, gentilmente, mi offre il succo di mango per il troppo caldo, ancora silenzio e sabbia) ma l’arrivo è stato sorprendente. Quando ho visto la ring road alessandrina (una sorta di tangenziale) mi son detta, tra me e me, che non era stata una buona idea accettare di andare fin lì. Il caos e le auto che sfrecciavano senza particolare interesse per la segnaletica non mi hanno dato una buona impressione, però il ricordo che per certi versi il traffico italiano sembra un po’ quello egiziano, mi ha rassicurato. Mi chiedo perché, al contrario, Il centro di Alessandria a quell’ora sia particolarmente silenzioso, senza traffico.  Arrivata a destinazione, porto i bagagli al sesto piano (avevo affittato una stanza a cinque minuti dal Consolato italiano) e il portiere/addetto alla sicurezza di quel palazzo/centro commerciale (fino al quarto piano si potevano trovare solo negozi) mi invita a completare alcune formalità.

Mi informa subito che, per motivi di sicurezza, per tutta la durata del mio soggiorno non potevo ospitare uomini in casa, né amici di sesso maschile e visto che ero occidentale dovevo stare ben attenta a chi incontravo. Dopo questo breve siparietto, decido di arrivare fino al mare per farmi un’idea del centro. La passeggiata dura poco, perché ho intenzione di collegarmi ad internet per avvertire in Italia del mio arrivo. La linea salta di continuo, decido di restare in casa per il troppo caldo. Verso sera la gente si riversa per le strade e il mio vicino del piano di sotto, un muezzin che gestiva una moschea abusiva, con un megafono piantato alla finestra, inizia la sua preghiera, più lunga del solito. Era la fine del Ramadan, la fine di un periodo di digiuno molto lungo e l’inizio di alcuni giorni di banchetti e festa per le strade. Quella notte non ho dormito e la mia avventura egiziana era appena iniziata. 

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