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Cittadini nel mondo, le esperienze di chi si trova all'estero per studio, lavoro e svago.

Io, me e Toto Cutugno

Io, me e Toto Cutugno

Essere un italiano all'estero non è sempre facile. Quando sono arrivata in Francia per la prima volta tre anni fa pensavo di essere accolta con entusiasmo e curiosità invece mi sono trovata davanti a situazioni tra le più disparate:

 - a cena dal direttore del liceo dove lavoravo. "Cara Laura, siamo contentissimi di avere un'italiana tra noi. Ma è vero che siete tutti mafiosi?". Ta dan! Questa è una domanda alla quale tutti gli italiani all'estero hanno dovuto rispondere. E così mi ritrovo a dover spiegare, nell'incredulità generale, che non i tutti gli italiani sono mafiosi e che, sopratutto, non tutti i mafiosi sono italiani. Non sempre il messaggio passa, anzi alcune volte mi hanno riproposto la stessa domanda e ho dovuto giurare di non far parte di nessun clan.

 - uscita tra amiche. Io, una tedesca e un'americana (ok, sembra una barzelletta ma è tutto vero) chiacchieriamo davanti a una tazza di té. La tedesca: "scusami sai, ma io non capisco proprio perchè voi italiani siete così mammoni. Lasciatele vivere ste mamme!". Innanzitutto, la mia mamma non l'avevo messa nella valigia e non la nascondevo neanche nell'armadio. Decido di cavarmela menzionando giusto quel fenomeno che si chiama "fuga di cervelli" per non entrare nel dettaglio. Lei mi risponde che non lo conosceva e che in Germania i cervelli rimangono al loro posto. Chiamali stupidi.

 - in discoteca. Un francese provolone si avvicina, scopre che sono italiana e mi urla nell'orecchio le tre parole italiane che conosce pensando di fare colpo: "pizza, spaghetti, Berlusconi", il tutto corredato da gesti strani. Lì, purtroppo non ho avuto la forza di ribattere, ho sorriso e ho rifiutato le sue avances con la scusa che non ero io la nipote di Mubarak.

 - al compleanno della mia collega francese. Arrivo a casa sua e mi ritrovo davanti a cinque ragazze biondissime, altissime e magrissime. Io quel pomeriggio ho il monociglio perchè ho perso la pinzetta e i miei capelli nerissimi sono gonfi perchè (che strano!!) piove. Lei mi presenta a tutte e intavola una conversazione di venti minuti sul fatto che per un pelo non mi chiamo come Laura Pausini. Cavoli, è proprio un peccato!

 - al mercato. Sono intenta a scegliere con cura la frutta e la verdura per la settimana, sorrido al venditore e gli porgo il mio bottino per pagarlo. Appena dico una parola lui riconosce l'accento e incomincia a parlarmi in un inglese maccheronico e lentissimo, scandendo le parole una ad una. Rimango interdetta un attimo poi capisco che lo sto facendo perchè pensa che io non capisca il francese. Eppure avevo parlato la sua lingua pochi secondi fa. Provo a dirgli che posso farcela a parlare francese, del resto è da un bel po' che abito qui. Niente da fare, il venditore premuroso mi risponde "o-k-e-y". Pago, me ne vado e nella mia testa gli faccio il gesto dell'ombrello.

Ce ne sarebbero tante altre di storie che mi sono capitate da raccontarvi ma mi fermo qui perchè sono sufficienti queste a farvi capire che spesso noi italiani siamo considerati i migliori in tanti campi, moda, cucina, arte. Ma in tanti altri casi ci troviamo a doverci scrollare di dosso alcuni degli stereotipi più antipatici. E' per questo che ogni tanto vorrei non prendermela e fare come Toto Cutugno, cantare con la chitarra in mano "sono un italiano vero!".

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