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Cittadini nel mondo, le esperienze di chi si trova all'estero per studio, lavoro e svago.

Fiabe in festa nel parco di Whilelmsthal

Fiabe in festa nel parco di Whilelmsthal

C’è una parola che bisogna necessariamente conoscere se si capita da queste parti in Germania: das Märchen, la fiaba. La tradizione di questi racconti, un tempo solo orali, è così radicata da dedicare alle Favole un percorso lungo 600 km che parte da Hanau fino ad arrivare a Brema. Paesaggi e castelli si susseguono sulla Märchenstraße, strada delle fiabe, animata da moltissimi eventi durante periodo estivo. In questi luoghi Jacob e Wilhelm Grimm hanno vissuto, raccolto e rielaborato le favole della tradizione popolare tedesca. Pubblicata nel 1812, la prima edizione di Fiabe per bambini e famiglie conta una collezione di circa duecento racconti, tra cui Biancaneve e i sette nani, Hansel e Gretel, Cenerentola. Così, un sabato pomeriggio, può capitare di incontrare nello splendido parco di un palazzo rococò la nonna di Cappuccetto Rosso. L’occasione potrebbe essere una Märchenfest, giornata dedicata alle favole, ricca di spettacoli e laboratori per bambini.

Il Castello di Wilhelmsthal si trova a Calden, località a pochi kilometri dal centro di Kassel ed è uno splendido esempio di residenza di caccia in stile rococò. Costruito per volontà del langravio Guglielmo VIII, il palazzo venne eretto nel XVIII su disegno dell’architetto francese François Cuvillés. Un immenso parco abbraccia la residenza, e non mancano la grotta, la fontana con puttini dorati e una torre di guardia (macché di guardia, quella è la torre di Raperonzolo, dico io). Durante la giornata delle favole il parco si anima con spettacoli di burattini, bolle di sapone, carrozze trainate da cavalli e principessine con corone di fiori in testa. Piccole dame vestite di bianco sfrecciano sui monocicli, dolci ragazzini salutano con il cappello a cilindro dall’alto dei loro trampoli. Libri illustrati, bambole colorate. Tutto questo è meraviglia. Ma, in fondo, cos’è una fiaba se non stare sotto una coperta calda e meravigliarsi?

 

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 Schloss Wilhelmsthal, Calden

 

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Queste bambole meravigliose si trovano in questo negozio: Märchenladen 

 

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Olimpiadi del lavoro a maglia

Ogni tanto mi stupisco della incredibile varietà di attività in cui ci si può imbattere nella Cina di strada. Anche nelle grandi città si sviluppa un senso di comunità locale, anzi, a maggior ragione nelle grandi città: poiché le dimensioni così estese costringono l’individuo a ritagliarsi uno spazio dentro lo spazio, dentro il quale vivere e mettere radici che siano a misura d’uomo (e non di metropoli).

Quindi si parla molto spesso di 小区 che è un po’ il quartiere, un po’ appunto la comunità del condominio, piuttosto che tutto ciò che è racchiuso tra casa e il supermercato più vicino. Ecco, in questi triangoli di punti fermi in cui la vita di ogni cinese si sviluppa, sono anche altrettanto importanti le attività di strada, quelle che hanno popolato questo spazio-blog fino ad adesso, ad esempio nei racconti sulla ginnastica dolce o i balli di gruppo.

Ecco, per tornare allo spunto iniziale, dicevo, se ne incontrano di ogni genere in terra cinese. Tra le tante stranezze in cui mi sono imbattuta, anche questa animazione di strada: una seriosa e competitiva gara di lavoro a maglia combinata con uno show man canterino folkloristico e soprattutto, particolarmente convinto, a fare da sfarzoso tappeto sonoro.

Ecco quindi che una schiera di signore dai capelli permanentati - poiché di natura il liscio domina largamente, superata una certa età tra le signore va molto di moda il riccio - munite di soli ferri e di filati di lana, si sono giocate il tutto per tutto per convincere la giuria sulla velocità e precisione del punto. Chiaramente anche in queste situazioni accorre il pubblico e c’è una spettacolosa moderazione svolta da un presentatore (o presentatrice): insomma, si tratta di uno show a tutti gli effetti, sebbene organizzato in piccolo, ma su queste cose in Cina ci si prodiga sempre con molta serietà.

Notate il tocco preciso, l’infilzata diretta delle signore che non si lasciano intimidire dalla pressione del tempo, ma agiscono il più rapidamente possibile.

Chi ha vinto? Non lo so, a quel tempo non capivo nulla di quello che mi succedeva attorno, sul marciapiede di un anfratto di un piccolo quartierino; non ho fatto altro che lasciarmi catturare incredula dal fascino di quello spettacolo, di quella sfida all’ultimo punto.

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Sentirsi a casa in due case

Sentirsi a casa in due case

Tutte le volte che parlo con un ragazzo o una ragazza che vive all'estero cerco sempre di fare caso se quando parla della madre patria usa un termine chiave : casa.

Io, nonostante siano già 3 anni e mezzo che abito in Francia, parlo ancora del mio paesello in provincia di Ferrara come la mia casa. Anche se, negli ultimi tempi sono passata al livello superiore e cioè dico la "mia casa in Italia". E sì, per forza. Perchè io di case ne ho due.

Una, la prima e insostituibile è la casa dove sono cresciuta. Adesso che io e mia sorella abbiamo entrambe lasciato il nido è la casa dei miei genitori, ma io non riesco a smettere di considerarla mia. Quelle mura mi hanno vista gattonare, giocare a Barbie, litigare con i miei genitori, presentare a papà il mio primo amore e alla fine partire verso altri orizzonti.

L'altra casa non è ben definita, visto che negli ultimi anni ne ho cambiate 4, perciò per facilità penso sia la Francia in generale. In tutte le case in cui ho vissuto ho cercato di mettere qualche radice. Volevo che i muri e le stanze parlassero di me come la "mia casa in Italia". Quindi non vi sto neanche a raccontare gli andirivieni da Ikea o nei mercatini per trovare quel tocco che mi avrebbe fatto sentire a casa, come a "casa in Italia".

Poi ho realizzato che la casa non la fanno gli oggetti ma le persone. Sentirsi a casa non dipende dal tappeto o dal servizio da té, ma è un sentimento che subentra quando si sta bene con le persone che vivono con te.

E pensare che quando ero partita la prima volta, con la mia valigia di cartone, l'unico pensiero che avevo nella testa era di trovare la mia indipendenza. Ma cosa vuol dire poi indipendenza? Stare soli? Cavarsela da soli? Sapete che la lezione che ne ho tratto dalla mia esperienza all'estero è proprio il contrario: è bello poter contare su qualcuno, siamo e saremo sempre alla ricerca di qualcuno di cui ci possiamo fidare, di qualcuno con cui condividere, di qualcuno che intrecci la sua vita con la nostra.

Da quando sono in Francia ho stretto delle amicizie forti, sane, vere. Gli amici che ho trovato qui sono quelli che preparano il pranzo domenicale per e con me, sono quelli che chiamo se mi si rompe la lavatrice e quelli che arrivano alle 2 di notte perchè mi sono chiusa fuori. Non mi dimentico di dire che anche io per loro ho riempito borse dell'acqua calda per curare il mal di pancia, ho diviso il parmigiano reggiano che la mamma mi aveva spedito dall'Italia e ho preparato le mie prime lasagne al forno.

Questo per dirvi che a me piace avere due case. Partire è un ottimo modo per rafforzare i rapporti. Il sentimento che mi lega all'Italia, alla mia famiglia e ai miei amici è sempre acceso come un faro nella notte. Ma la mia casa in Francia è viva e si è creata un'altra famiglia. Quindi,e parlo soprattutto agli indecisi, partite, andate a conoscere, non abbiate paura, c'è sempre una casa che vi aspetta!

 

 

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Tracce d'Italia

Tracce d'Italia

Tracce d’Italia

Dopo la disquisizione d’obbligo sull’encomio delle carni argentine, vorrei aprire in questo spazio un argomento altrettanto caratteristico, l’elemento che porta l’Argentina a distinguersi rispetto ad altri paesi sudamericani. Parlo dell’evidente influenza dell’immigrazione italiana, che dalla seconda metà dell’800 al 1950 ha popolato e plasmato un paese che tutt’oggi ha una sua identità così meticcia da non poter essere considerata univoca, ma che allo stesso tempo, conserva tracce inequivocabili d’Italia da qualsiasi angolatura la si guardi.  

Incominciamo quindi, ad esplorare questa italianità trapiantata, permeata ed inevitabilmente reinterpretata dall’altro parte del mondo. L’aspetto più evidente sono ovviamente i cognomi. Il computo esatto, in casi come questo è assai approssimativo, ma di certo ci sono almeno 2 milioni di persone che nel secolo della grande emigrazione ha deciso di attraversare l’oceano alla ricerca di miglior fortuna. Provate a pensare ad alcuni argentini famosi: Messi, Piazzola, Peron, Fangio, Ginobili, , Bergoglio e la lista potrebbe continuare all’infinito...

Dall’anagrafe passiamo alla tavola: pizza,focaccia, gelato,tiramisù, pesto, ravioli, gnocchi, bagnacauda e, il piatto nazionale dopo l’asado: la cotoletta alla milanese. E se la rivisitazione argentina della cucina italiana, è più scadente a livello di qualità, e più “sozza” in quanto a pesantezza, anche qui il problema è facilmente risolto. Cynar, Amaro Strega, Cinzano, Gancia e soprattutto ( come diceva un vecchio adagio pubblicitario) Fernet Branca. Portate nelle valigie degli ultimi immigrati, queste bevande, che in Italia ormai sono considerate poco attraenti dalle generazioni più giovani, qui hanno piantato radice e scandiscono i brindisi dei cugini d’oltreoceano. Anzi, il Fernet Branca, allungato con coca-cola, ghiaccio e limone è, in quest’ultimo decennio post-crisi, la bevanda nazionale. Quanto mai versatile perchè si beve sia come aperitivo, sia  come cocktail, svolge le funzioni del nostro spritz, tanto quanto quelle del Cubalibre.

Un altro aspetto della contaminazione riguarda la lingua. Lo spagnolo rioplatense è una varietà piuttosto sul generis rispetto al castigliano di Spagna che siamo abituati ad ascoltare, essendo meno marcato nelle sue sillabe e nei suoi dittonghi più gutturali e sibilati. A detta di molti, più simile alla nostra lingua per quanto attiene alla cadenza. Ma non solo l’intonazione ha subito l’influsso della lingua italiana, anche il lessico si avvale di moltissimi prestiti, seppur siano perlopiù derivanti dai nostri dialetti, che non dalla lingua di Dante. Laburo, capo, fiaca, malandrin, facha tosta, gamba, atenti, guarda sono solo le parole che assomigliano ancora all’italiano contemporaneo. Ve ne sono centinaia che derivano dal piemontese, genovese, napoletano che, al mio orecchio, suonano sconosciute.

In conclusione, bisogna riconoscere che la battuta sarcastica del poeta messicano Octavio Paz, non era del tutto fuori luogo: “gli argentini sono italliani che parlano spagnolo e si sentono francesi”.

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COME CI SI VESTE?!

COME CI SI VESTE?!

Una delle cose che sconvolge di più gli Italiani appena arrivati in Australia è come la gente gira vestita per strada.

Ci misi un mese a capire chi fosse il capo del centro di ricerca dell'università in cui svolgevo un tirocinio a Melbourne... ero arrivata da poco e ancora non avevo capito come funzionavano le cose riguardo al vestire.... dovetti aspettare una conferenza dove il Capo si presentò in abiti da "Professore" per capire che il Prof.XXXX era in effetti il signore gentile  vestito con camice hawaiane e jeans che incontravo giornalmente nell'ascensore del centro di ricerca con cui mi rivolgevo senza formalità chiamandolo per nome!

A seconda della città si può osservare un cambiamento in stile sia dovuto al clima sia alla moda della stessa città. Melbourne è nota per essere la città più europea d'Australia...vanta piccole caffetterie, locali alla moda e tutto quello che è arte e trend. Sydney è famosa per il fashion e per "l'alta moda". Brisbane è considerata laid back in quanto la gente gira spesso in ciabattine e perfino a piedi nudi. E' del resto una città più tropicale...in cui 9 mesi all'anno si passano in un clima estivo.

Quello che colpisce gli occhi degli italiani è come la gente "non si sa vestire"... la verità è che ognuno segue un gusto proprio non seguendo le mode... o seguendo quelle mode che magari in Italia non andrebbero manco per scherzo. Non so...come quando sì è provato a lanciare le scarpe da tennis con il tacco...è una moda che da noi non ha preso piede...(per fortuna direi) ma che non mi stupirei di vedere qui!

All'inizio mi sconvolgevano alcuni "out-fit"... vedevo persone indossare vestiti stranissimi che non avrei mai visto in giro in Italia manco a carnevale... ma poi mi sono abituata...ho aperto la mente e gli occhi ed ho capito il loro concetto di abbigliamento. 

In parte sono in voga gli anni '80...in parte, una corrente di donne si veste come pin-up lady...tipo le donne delle copertine pepsi e coca cola degli anni '50. Sono bellissime e curatissime! Altri sono hippies e si vestono davvero come negli anni '60. Altri, i più, si vestono molto semplici, con abiti adeguati ai giorni caldi e al sole cocente...e solo in city, nel central business district li vedi vestiti con giacca e cravatta o seguendo quello che è il "dress code". Molti uffici e luoghi di lavoro hanno il codice d'abbigliamento, sottoscritto e firmato nel contratto...per cui, come spesso accade in città come Brisbane... vedi un uomo arrivare al lavoro in tongues (infradito) e bermuda, ed andare in bagno o nello spogliatoio (molti palazzi hanno spogliatoi, doccie, cucine, etc per i dipendenti) a cambiarsi e mettersi in giacca e cravatta pronto al lavoro!;)

Amo questa libertà che hanno gli australiani...toglie molti complessi e stress al "come devo vestirmi?!" . Noi Italiani sembriamo "folli" ai loro occhi quando spieghiamo come ci si deve vestire e perchè...cosa è opportuno mettere e cosa no... e ci stupiamo quando per strada vediamo qualcuno vestito davvero "bizzarramente" e loro non lo notano in quanto è normale che ognuno indossi ciò che vuole e gli altri non facciano commenti. ADORO TUTTO CIO'!;)

A volte per strada vi capiterà di vedere gente in maschera...magari vanno ad una festa... magari partecipano ad una protesta... magari, semplicemente gli piace vestirsi così! Nulla di strano. Qui la gente osa con il vestire, gioca con la moda!

Figuratevi che a Brisbane, capitale del Queensland, ogni anno vi è un giorno in cui è possibile vedere gente camminare con tute rappresentanti animali... è l'onesies day. Vedi aduti vestiti da orsetti, cavalli, unicorni, giraffe, leoni, canguri, ect etc... non ho ancora capito come mai celebrano l'onesies day... ma credo che sia per ridere e far sorridere la città!;) 

 

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Sua Maestà, Dalida e 24 anni

Sua Maestà, Dalida e 24 anni

Sono nata a Settembre e da un po’ di anni mi ritrovo, per vari motivi, ad invecchiare fuori casa. Ho aperto la tradizione nel migliore dei modi, sostenendo un esame universitario a Bologna in una materia a me un po’ ostile, continuando con Alessandria e approdando a Bruxelles.

In questo post vi parlo del mio compleanno e di un luogo molto importante per la storia del Novecento italiano, per i nostalgici della monarchia e per i turisti distratti: Santa Caterina d’Alessandria. Questa è la cattedrale di rito cattolico romano più vicina al mio quartiere ed è anche un ritrovo per gli italiani. La cattedrale conserva la tomba di Vittorio Emanuele III, morto nella città mediterranea nel 1947, dopo esser andato via dalla penisola. Non è un caso che gli ultimi giorni li abbia trascorsi in Egitto. L’Italia e l’Egitto hanno avuto sempre dei rapporti bilaterali molto intensi. A seguito della rivoluzione di Gamel Abdel Nasser, re Faruq I e il figlio, Fuad II trovarono asilo in Italia. Faruq I morì a Roma nel 1965. Ogni anno, alla festa di San Francesco, i frati minori organizzano una cena all’interno del convento. Fino a quando il consolato è rimasto una sede di rappresentanza, l’invito alla festa del 4 ottobre è arrivato puntuale. Sarebbe stato il mio primo evento pubblico in quella città dalla vita mondana così diversa dal significato che un europeo darebbe alla parola, ma non mi aspettavo di veder la cattedrale ancor prima della data prevista.  Al consolato hanno pensato di festeggiarmi, a modo loro, in maniera originale.  

b2ap3_thumbnail_interno-articolo.JPGMi hanno portato a cenare alla cattedrale. Complice il bel tempo (che non mi abbandonerà fino a dicembre), le alte temperature e lo spazio che si affitta per le feste, una parte del personale mi ha offerto una cena a base di pizza e una torta di una famosa pasticceria alessandrina.  E’ stata una bella serata che si è conclusa con l’ascolto delle canzoni di Dalida, vero mito musicale egiziano. Dalida, è stata nei tre mesi successivi un vero e proprio tormentone. Artista italo-egiziana, è una delle figure più importanti dell’Egitto contemporaneo: infatti durante la serata, come in quelle che seguiranno, non poteva mancare l’ascolto di Helwa ya balady, canzone che lei dedicò alla sua terra d’origine.In definitiva posso dire che con il mio compleanno è iniziata la vera integrazione con l’Egitto: la nostalgia tutta alessandrina di un paese profondamente cambiato, la giornata scandita dalla preghiera del muezzin, imparare i numeri dalle targhe delle auto, andare al negozio del cambio e tornare con le tasche piene di lire egiziane tanto da sembrare miliardaria, tutto ciò ha contribuito ad un’esperienza che mi ha fatto capire che, per fortuna, non esiste solo l’Occidente.

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Le ugole d'oro

Le ugole d'oro

Tra le altre attività molto comuni in Cina e spesso praticate addirittura nei parchi e nei luoghi pubblici, c'è anche il canto.

Il canto è un’arte liberatoria che è diffusa un po’ ovunque e tra tutte le età: i giovani si rintanano nei karaoke, i cosiddetti KTV, il sabato sera, e qui a turno sfogano tutte le loro energie con un microfono in mano; chi giovane non lo è più, invece, è più probabile si raduni nei parchi pubblici dove in parte si organizzano, allo stesso modo, dei karaoke portatili. Oppure, molto più seriamente, ci sono gruppi che cantano l’opera tradizionale o le canzoni folkloristiche, per la grande felicità del pubblico che accorre e li circonda. 

Non si tratta solamente di un passatempo disimpegnato: nel canto i Cinesi mettono tutto loro stessi, sebbene non riesca perfettamente a tutti. Tuttavia c’è un grande rispetto dell’errore e del coraggio di esporsi e chiunque ha il diritto di fare la propria esibizione. All’interno dei gruppi un po’ più organizzati c’è sempre un musicista e spesso anche un direttore; ci sarebbe da capire se questi vengono eletti per acclamazione popolare o per necessità.

C’è un cantante professionista quando si festeggia o si celebra qualche ricorrenza; quando si inaugura un locale; quando ci si sposa, ovviamente, ed è probabile che anche gli sposi debbano cantare. Per essere più chiari, in queste occasioni importanti, si prepara un palcoscenico e l’amplificazione a modo, per permettere a chi si esibisce di raggiungere anche i più restii nella platea.

Sono capitata in una bellissima giornata invernale al Tempio del Cielo, un luogo meraviglioso di Pechino, dove il passato dell’architettura e il presente del brulicante parco, convivono serenamente. Il giardino infatti è popolato in grande libertà, da chiunque cerchi uno spazio dove esprimersi o trascorrere il tempo libero: ci sono giochi di carte, passatempi, attività simil-sportive, e tanto spazio è lasciato, appunto, al canto e al ballo. C’è l’imbarazzo della scelta quando si tratta di fermarsi a guardare: ma, quel giorno, questo gruppo di ugole d'oro, mi ha catturato per l’evidente passione con la quale le loro voci erano capaci di sovrastare tutti gli altri che, seppure muniti di amplificazione, a poca distanza tentavano a loro volta di raccogliere pubblico. Questo coro maschile invece, senza alcuna amplificazione e con un solo organetto, si sentiva sin dall’ingresso del parco e la serenità con cui questi facevano vibrare le loro corde vocali e gioivano del risultato prodotto, era letteralmente contagiosa. Guardare per credere!

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Il rito dell'asado/2. La versione dell'emigrante

Il rito dell'asado/2. La versione dell'emigrante

Il RITO DELL’ASADO – CAPITOLO SECONDO. La versione dell'emigrante.

Dove eravamo rimasti? Nel primo post avevo descritto la presentazione dell’asado nella sua socialità. Ora invece, vorrei condividere la parte più tecnica: quel percorso che va dalla macelleria al divano, destinazione finale di ogni asado ben riuscito.

Partiamo dall’elemento essenziale di questo rituale: la carne. Si sa, la pampa argentina, da sempre fornisce le migliori condizioni affinchè i bovini crescano pasciuti e sani, e di conseguenza, le sue carni sono deliziose, tanto da essere il secondo prodotto più esportato dopo la soia. Ma come in tutte le cose, ed in tutto il mondo, si può trovare la buona e la cattiva qualità nella merce che acquisti: è essenziale dunque trovare il macellaio di fiducia. Senza questo elemento, qualsiasi asador - anche per il più bravo – farebbe una figuraccia davanti agli ospiti, e vi assicuro che qui la cosa è presa piuttosto sul serio...

Io ho avuto la fortuna di trovar casa vicino alla macelleria Sol 19. Minuscolo locale con una perenne fila di clienti sul marciapiede in attesa di essere serviti da Martin e suo padre Carlos. Vedendomi assai spaesato nel momento di fare l’ordinazione, nonostante tentassi di mostrarmi un conoisseur per evitare la fregatura tipica che qui si rifila agli sprovveduti, i due signori mi hanno di settimana in settimana illustrato i vari tagli di carne e la maniera migliore per prepararli.

Ib2ap3_thumbnail_asado-casalingo-del-principiante.JPG tagli di carne da cuocere alla gliglia sono tantissimi, e di certo non si possono elencare tutti. Io mi limiterò a descrivervi la formazione base degli asados che sono solito preparare. Si inizia con l’apripista, il chorizo: ossia, la salsiccia. Qui è in genere mista: metà carne bovina, metà di maiale, in modo da avere le giuste quantità di grasso.  Poi vi sono alcune prelibatezze che appartengono alla categoria achuras: interiora e affini. Per me il massimo è la molleja, la ghiandola del collo, servita ben croccante. Poi viene il momento di mangiare sul serio, e si cominciano a servire i pezzi più grandi, cotti interi e tagliati a fette una volta pronti.

Ci sono i tagli più veloci nel cuocersi come il matambre, tecnicamente, l’ammazzafame. A me cere per personalmente, piace da impazzire quando è di carne di maiale. Il nome buffo deriva dal fatto che il gaucho della Pampa fosse solito tagliare questo pezzo esterno e sottile dell’animale per mangiare un antipasto in attesa che i restanti pezzi si terminassero di cuocere. Da un lato è grasso, mentre l’altro è di pura carne. Come pezzo principale la tapa de nalga è il pezzo che preferisco, corrisponde alla natica della vacca. Saporitissima e, se lasciata un pò sugosa, ossia con un pò di rosso ancora all’interno, è una delizia. Qui, però, le rogini emiliane e di campagna mi tradiscono. Cresciuto a salame ferrarese e prosciutto, ammetto di essere un fedele della religione porcofila: così alla mia tavola raramente manca un carrè de cerdo, ovvero il filetto di maiale, che cotto alla griglia non ne ha uno di suoi perchè, ma tanti.

Chiudo qui la mia disquisizione elementare sull’asado dell’emigrante, ed essendo sabato, scendo a vedere quali carni scegliere per il pranzo di domani.

 

 

  

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La ville de Bruxelles

La ville de Bruxelles

La prima volta che ho messo piede in questa città è stato a fine settembre 2012. 

Ho trascorso due settimane da “turista fai-da-te, no Alpitour”! 

Bruxelles è una città da scoprire, piena di angoli e facciate caratteristici, monumenti, parchi e giardini. 

Mi sono dotato di una mappa della città, sulla quale sono indicati i principali murales dei più famosi fumetti europei. Da Tintin ad Asterix (http://www.contoworld.it/easyblog/entry/le-12-fatiche-di-asterix-parte-1), passando per Lucky Luke e altri a me ignoti.

Non sapendo assolutamente nulla del luogo, mi è sembrato un ottimo punto di partenza. 

Brussel (il nome fiammingo di Bruxelles) è anche considerata la capitale europea del fumetto e ciò spiega la presenza diffusa di questa meravigliosa forma d’arte di strada. 

Ho pensato di suddividere le zone da visitare secondo uno schema a tabella a doppia entrata: mattina, pomeriggio/ quartiere, n°di cose da vedere. 

Cioè, io credevo fossero quartieri. Come ho scoperto dopo poco, Bruxelles è una piccola città che insieme ad altri diciotto comuni limitrofi forma una discreta area metropolitana. Quelli che pensavo fossero quartieri, sono comuni a sé stanti, dotati di una propria amministrazione (la “famigerata” degli articoli precedenti) e di conseguenza di un proprio Registro della Popolazione. 

Apro ora una piccola digressione: il mio professore di lettere delle superiori soleva dire che una è sempre ammessa. Con questa divisione amministrativa, se cambi casa e ti sposti anche di soli 3-4 chilometri, è facile che tu sia già in un altro comune. Comune nuovo, residenza nuova, documenti nuovi e nuova trafila per ottenerli (http://www.contoworld.it/easyblog/entry/le-12-fatiche-di-asterix-parte-2).

Fine della digressione.

Il motivo per il quale ho scelto di adottare questo tipo di strategia di suddivisione delle zone da visitare è il seguente: le facciate delle case e dei palazzi dipinte a fumetti non sono parte di un percorso turistico. I luoghi, in cui essi sono realizzati, seguono logiche artistiche e non funzionali e, a dirla tutta, non sono tutti indicati sulla cartina. Come molte altre cose del Belgio, e di Bruxelles in particolare, sono da scoprire.

Questi murales di fumetti sono proprio stupendi! Spesso riprendono elementi architettonici dell’ambiente circostante, oppure parti della stessa parete sulla quale sono disegnati. 

Una di queste meraviglie è collocata in modo tale che, camminando in direzione del murale, il palo della luce disegnato sia nascosto, fino all’ultimo momento, dal vero palo della luce nella strada.

Durante quelle due settimane, ho camminato per la città in lungo e in largo e ho scattato moltissime fotografie. Ho scoperto angoli caratteristici nei luoghi più impensati: meraviglie di Art nouveau (l’equivalente belga dello stile Liberty inglese) o di architettura fiamminga di fine ottocento incastonate in mezzo a grigi palazzi di vetro e cemento. Addirittura alcune torri di guardia della città medioevale sono strette nella morsa dei palazzi di cemento. Tutto sembra crescere in mezzo al cemento. Ovviamente è l’esatto contrario. 

Il cemento avanza inesorabile e inghiotte queste meraviglie. Interi quartieri sono stati rasi al suolo e cementificati. Ecco a voi la “brussellizzazione”: cioè la distruzione di interi quartieri per introdurre in modo forzato e casuale edifici e infrastrutture moderne. 

Nei manuali di urbanismo viene chiamatata così la speculazione sfrenata sul tessuto storico urbano.

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Cosa si mangia in Oz?!

Cosa si mangia in Oz?!

Sebbene la questione "cibo" sia sempre un pò delicata per ogni Italiano espatriato....in Australia diventa un pò più complessa data la distanza dalla madre patria e le leggi sull'importazione di vivande.  Infatti sembra una cosa sciocca...ma ti rendi conto dell'importanza dei sapori di casa solo quando iniziano a mancare ed è raro trovarli nei supermercati!

Spesso, quando un amico torna in patria, si chiede di portare con se' al ritorno, quel pacchetto di biscotti o quel altro.. io per esempio ho portato barattoli di maionese della marca x...biscotti y...crostatine etc etc. Sembra ridicolo come un pacchetto di biscotti o una pastina possa essere il regalo più bello che si sia mai ricevuto!;) 

Nella comunità italiana d'Australia (parlo dei nuovi immigrati) io sono conosciuta per chiedere mi si porti pacchetti di vigorsol...che le gomme australiane sono terribili!

Per poter mangiare bene in Australia bisogna dimenticarsi il concetto di "primo, secondo, terzo, dolce e ammazza-caffè"...e aprire la mente e le papille gustative a sapori nuovi, a quella che spesso viene definita cucina fusion. Difatti la maggior parte dei piatti che si potranno apprezzare a testa in giù sono composti da spezie e cucine di cultura asiatica e medio-orientale mischiate a idee e sapori mediterranei.  E' possibile chiaramente trovare pietanze di cucine ben distinte quali coreana, cinese, vitenamita, tibetana,  thailandese, indiana, greca, italiana, americana.... ma più spesso vi troverete piatti misti...non so una caprese con coriandolo da tutte le parti, la famosa chicken-parmigiana (chiamata semplicemnte "parmi") che altro non è che una cotoletta di pollo o quasi tutto un pollo (ti danno delle porzioni giganti) con sopra pomodoro e mozzarella. Questa è considerata cibo italiano dai più...secondo me è invece originaria del Victoria dato che ho constatato che in Queensland (stato della East Coast) è quasi sconosciuta. 

Stemma della cucina nazionale, invece, sono le PIE. Le trovate in tutti i paesi anglosassoni...ma agli australiani piace pensare che sia loro invenzione...sono in genere dei tortini di pasta brise' con dentro carne (mista a salse di ogni tipo e verdure). Vengono in genere riscaldate e servite con l'interno ustionante... e con una buona dose di tomato sauce. 

Come dolci si trovano super popolari i leminghton e tim tam. I primi altro non sono che un lievissimo pandispagna ricoperto di cioccolato e spolverato di briciole di farina di cocco. A me non piace affatto...mio fratello quando venne a trovarmi lo trovò buonissimo. De gustibus!

I tim tam, insieme alla vegemite, al "no worries" e alle infradito, sono simboli dell'Australianità. Altro non sono che i biscotti più calorici mai inventati. Sono rettangolini ricoperti di cioccolato con ogni possibile tipo di caramello e dolce aggiunto. Anche questi a mio parere troppo dolci... ma per gli amanti del cioccolato sono squisiti. In Australia amano fare un "gioco" che consiste nel far sciogliere il primo strato di tim tam nella tazza di te' e cosi di mangiarlo in una sorta di "liquefazione" o con cannuccia o con cucchiaio. Valli a capire a volte! 

Gloria Australiana è la vegemite. Viene spesso usata da noi "mattacchioni" italiani per fare uno scherzo ai nostri amici connazionali quando mettono piede per la prima volta in Oz.(Altro soprannome dell'Australia!...usato più spesso da noi stranieri). Messo a colazione, davanti ad una fetta di pane, il barattolo della vegemite assomiglia, per colore e aspetto del contenuto, ad una crema di cioccolato... immaginarsi la sorpresa del poveretto che spalmando la crema come fosse nutella...si trova in bocca una cosa salata al sapore di dado per fare il brodo. A me personalmente accadde alla prima colazione australe!;(

Sarà che è uno dei pochi sapori nazionali...ma gli Australiani ne vanno ghiotti. Si dice infatti che non solo che la vegemite sia buona ma anche che faccia bene, che sia ricca di vitamine... è un pò come bere il vino perchè fa buon sangue!

Per concludere, partendo dalla colazione, arrivando alla cena mille e più drammi dovrà affrontare quel italiano che va alla ricerca di cibo made in Italy. Per cui non fatelo! Abbracciate a tutto raggio l'internazionalità culinaria poichè è l'unica maniera di mangiare qualcosa di buono (oltre al cucinarselo a casa)...infatti seppur gli Australiani vantino di avere buoni ristoranti di cucina italiana, è raro sedersi al tavolo e poter dire che il primo, il secondo o la pizza siano "proprio come fatti a casa"...eccetto per rari e affollatissimi casi famosi in tutta la comunità italiana d'Australia.

 

 

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