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Cittadini nel mondo, le esperienze di chi si trova all'estero per studio, lavoro e svago.

A spasso con Christina

A spasso con Christina

Questi ricordi risalgono al 2010, quando Mubarak era ancora al potere, I Fratelli Musulmani rappresentavano il vero stato sociale per i credenti nell’Islam e le proteste per le elezioni del rinnovo del Parlamento crescevano di giorno in giorno. Christina, la ragazza che ho nominato nel secondo post http://www.contoworld.it/easyblog/trackback?post_id=57, è stato un prezioso aiuto, meglio di una guida turistica, nel capire la città e le sue contraddizioni.  La incontro pochi giorni dopo l’inizio del mio tirocinio. E’ alessandrina, ama la cultura italiana e grazie a lei scopro anche la multiculturalità religiosa della "perla del Mediterraneo". Le nostre conversazioni si basano su un incrocio tra inglese, francese e italiano e andiamo dappertutto, anche dove non ci farebbero entrare, come in una moschea. Christina è copta, e questo, alcune volte, le crea dei problemi. Ci siamo dovute fingere straniere (io no, lei si!) per accedere ad una moschea e non ci hanno fatto entrare, siamo andate in un negozio di abbigliamento di una famosa catena spagnola e lei non ha comprato nulla. Anche se non professa la religione musulmana, si sente osservata se indossa una gonna, o meglio, per evitare noie, deve indossare anche un paio di pantaloni.  Lo scopo di Christina è di mostrarmi che esiste una vera e propria multiculturalità religiosa.

b2ap3_thumbnail_Foto-articolo_A-spasso-con-Christina.jpgLa nostra prima tappa è una famosa pasticceria di Saad Zaghloul street (posto dove tornerò spesso), perché una buona compagnia si consolida anche con una fetta di torta e un caffè. Mi porta subito in direzione Santo Stefano e non mi fa perdere l’esperienza sul mini bus. Al costo di 2 lire egiziane, insieme ad altre 9 persone ad una velocità che farebbe impallidire una Ferrari, il conducente, con il suo carico di casalinghe, anziani e  straniere, sfreccia sul lungomare verso la parte orientale della città, per fermarci vicino al centro commerciale più caro di Alessandria. La fermata non esiste, deve indicarla il passeggero, come deve contrattare anche il prezzo della corsa. I posti migliori sono quelli delle prime file, se arrivi tardi vai in fondo, ed è un’esperienza tragicomica scendere da quella parte del bus. Non essendoci un vero e proprio spazio, la gente deve spostarsi insieme alle buste della spesa, agli orli delle galabeya e deve anche darti una mano: lo scalino è molto alto rispetto alla strada e l’autista non aspetta molto per ripartire. Christina mi farà conoscere la vera Alessandria, e se non la nominerò spesso, tenetela presente perché è anche grazie a lei che sono venuta in contatto con le varie anime della città egiziana.

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Fiumi di burro

Fiumi di burro

Avvertenza a tutti gli interessati a trasferirsi in Francia: se avete il colesterolo alto, se siete in sovrappeso, se siete ipertesi e dovete evitare i grassi saturi, cambiate destinazione!

Ora vi spiego perchè. In Francia si mangia benissimo. Ci sono tantissime prelibatezze, piatti succulenti e dessert che sembrano disegnati per essere mangiati con gli occhi. L'unico problema è che tutto questo ben di Dio è a base di burro.

Il burro è il maschio alfa della cucina francese. E' il protagonista di tutte le ricette, dolci e salate e sono convinta che sia grazie a lui che sono così buone. I francesi lo venerano come i greci veneravano Zeus e lo amano come Romeo amava Giulietta. In suo onore, in ogni supermercato che si rispetti, un intero banco frigo viene consacrato a lui. Eh sì, perchè dovete sapere che qui in Francia non esiste solo un burro. Ne esistono di diversi tipi. Questo fatto ha creato due categorie di francesi, due partiti ben distinti: quelli che comprano il burro dolce e quelli che comprano il burro salato.

Il burro dolce è più o meno il burro al quale noi siamo abituati solo che è di colore giallo acceso per sottolineare il suo apporto generoso in grasso. Al contrario, il burro salato è, appunto, leggermente salato e la terra di origine di questo prodotto è la Bretagna. E' sulle coste bretoni, dove l'oceano si infrange sulle scogliere e forma le saline che si è pensato di unire il sale al burro ottenendo il "beurre salé".

Personalmente, e da questo si vede che non sono francese, non ho preferenze e soprattutto, lo dico sottovoce, non noto così tanto la differenza. E poi, devo dire che, da buona italiana, continuo ad usare molto più spesso l'olio di oliva.

Si trovano altresì diverse altre stranezze come il burro spray, il burro spalmabile dalla consistenza della Nutella, il burro con la pepite di cioccolato, il burro che si spruzza confezionato come ketchup.

Tutti questi burri solo alla base della piramide alimentare francese. Perciò, se vi capita di passare da queste parti non rinunciate al classico croissant, ad una fetta di brioche, alla fugace (una specie di focaccia) e se andate in Bretagna vi consiglio il dolce tipico kouing amann. Durante la degustazione soffermatevi sull'incredibile scioglievolezza di strati e strati di burro e alla fine verificate le vostra dita, saranno talmente unte che vi potrete ritenere soddisfatti dell'impresa compiuta.

Ora vi lascio, ho nel forno dei pomodori che sto facendo gratinare. Piccola astuzia francese: provate a metterci sopra un ricciolo di burro, vedrete che crosta!

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La ginnastica dolce

La ginnastica dolce

Vi siete mai chiesti come sia possibile che la cerimonia d’apertura dei Giochi Olimpici di Pechino fosse così bella e in sincronia? Vi siete mai chiesti come possono tutte quelle persone muoversi secondo un ritmo prefissato e tempi rigidi senza commettere alcun errore?

La mia personale opinione è che questa capacità di uniformare i movimenti è una dote che appartiene geneticamente ai Cinesi. Ci sono popoli che hanno il ritmo nel sangue, loro hanno la massa.

 

Quando metto piede fuori casa e, più precisamente, quando mi reco alla fermata della metro, passo ogni volta di fronte ad una parte di Nanchino, la città in cui vivo, che mi ricorda che un tempo questa enorme e moderna metropoli è stata la capitale di un impero (e poi di una neonata repubblica). Ancora oggi, infatti, la circonda la cinta muraria, che di originale deve avere ben poco, ma il cui aspetto è tuttora impressionante. Ai piedi di una delle porte di ingresso, sul finire della sera, si ritrova sempre un gruppo di signore che ha dato vita ad un vero e proprio movimento sportivo alla Porta Hanzhong. In questi anni ho assistito all’evoluzione del gruppo che da normalmente numeroso è diventato spaventosamente numeroso, fino ad organizzarsi per limitare gli accessi incontrollati e l’occupazione del prezioso spazio che le suddette signore usano quotidianamente per i loro esercizi di mantenimento. Questa volontà di organizzarsi si è concretizzata in una forma di tesseramento e abbigliamento di riconoscimento, che rende ancora più suggestiva la presenza di questa grande massa di pensionate (per la maggior parte, ma non solo) che calpesta in fila indiana e a ritmo di musica la pavimentazione della Porta Hanzhong.

Sebbene si trovino a ridosso di un incrocio ad alta percorrenza, le sportive signore non si lasciano certo intimidire e puntualmente, ogni sera, animano la strada e si circondano di un folto numero di spettatori che tentano di imitarle, senza tuttavia azzardarsi ad intralciare. Il biscione si snoda per tutto lo spazio a disposizione, e il ritmo del passo e l’avanzamento sono rigidamente tenuti sotto controllo per evitare scontri o sovrapposizioni. I movimenti sono riproducibili anche in spazi ridotti e ripetuti numerose volte; da una parte per permettere a tutti di seguire e imparare la routine, dall'altra con finalità seriamente ginniche.

L’abbigliamento dà il tocco di classe finale: probabilmente c’è una forma di classismo anche in questo, perché solo una parte di loro ha diritto alla Maglia Rosa e al Guanto Bianco. Chissà, avranno vinto il Giro per questo…

 

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I noodles tirati

I noodles tirati

Vera o non vera la leggenda che narra che gli spaghetti siano originari della Cina, di sicuro posso garantire che qualcosa di mooooolto simile agli spaghetti esista anche qui. Da un bel pezzo.

Ma l’aspetto più affascinante dello spaghetto cinese non è certo il solo gustarlo. I Cinesi poi hanno una abilità pressoché ineguagliabile per nutrirsi di questa loro tipicità gastronomica: i noodles infatti vanno rigorosamente consumati caldi fumanti e risucchiati tra le labbra perché naturalmente con le bacchette non si può certo avvolgere a spirale un bel niente. Quindi questi fili di pasta rovente, talvolta colanti di brodo, talvolta zuppi di condimento, attraversano come lava incandescente le labbra. Un essere umano non avvezzo alla pratica sin dalla tenera età, non farebbe che lacrimare e inghiottire anche il primo strato di epidermide assieme al ciuffo di noodles. Invece, un Cinese medio, allenato, probabilmente ha sulle labbra uno strato di amianto sviluppato con gli anni di esercizio che gli permette di non sentire la temperatura lavica che raggiunge la sua bocca.

I noodles, al di là della temperatura, sono un piatto estremamente gustoso. Per chi ama il brodo poi, in Cina si dilettano in mille versioni un po’ come in Italia. Nei ristoranti musulmani si trova un prelibato brodo di manzo che accompagna molto spesso i famosi noodles “tirati”. I noodles tirati sono una specialità di Lanzhou, una città del nord-ovest della Cina dove appunto è diffuso l’Islam. Quindi molto spesso i ristoranti di Lanzhou sono anche ristoranti Halal.

Ma torniamo alla star del giorno: il noodle tirato. Ecco, quando dico tirati, intendo proprio allungati, estesi, infiniti, bisciosi, con un inizio che è qui e una fine che è chissà dove.

L’arte del tiro del noodle si impara con una lunga pratica: prima di tutto l’impasto è qualcosa che mi rimane ancora sconosciuto, davvero. Si tratta chiaramente di farina bianca, ma non posso garantire che ci sia soltanto farina di grano là dentro, acqua e probabilmente un olio di semi dal sapore molto leggero. Il risultato comunque è una pasta relativamente collosa che necessita di molta energia nella lavorazione, e che allo stesso tempo resiste ai feroci maltrattamenti a cui viene sottoposta: guardare per credere!

Se osservate con attenzione, vedrete che è molto probabile che ciò che viene inserito nella pentola della cottura, sia un unico luuuungo spaghettone che nasce dall’intreccio continuo tra le dita del maestro pastaio. Tiro e saltello, intreccio, tiro e saltello, intreccio, tiro e saltello, intreccio, sbatto e puff: ecco una manciata di spaghetti pronta da gettare nel pentolone.

Si aggiungono verdure o carne, dell’altro brodo, più saporito, un po’ di cipollotto e del coriandolo a decorare e…pronti! Ora, decidete voi quale è la tecnica più sicura per poterli mangiare.

La mia di solito mi fa apparire abbastanza ridicola, mentre tento di spegnere l’incendio in corso tra le mie labbra, con la boccata di noodles che ancora penzolano, dal brodo si collegano direttamente alle mie ganasce malconce e ustionate… ma pare che nessuno ci faccia particolarmente caso…

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Il rito dell'Asado: introduzione al culto domenicale argentino

Il rito dell'Asado: introduzione al culto domenicale argentino

b2ap3_thumbnail_Modesto-asado-in-casa-mia.JPGDomenica: in un paese come l’Argentina, significa famiglia. Anche in Italia succede ancora , seppur l’infinito pranzo domenicale con la famiglia allargata si verifichi soprattutto nelle zone rurali, o nelle famiglie un più tradizionaliste. Qui invece l’asado, ovvero la grigliata di carne, è pressoche un’equazione matematica. Ci si ritrova a casa dei genitori o di un qualche membro della famiglia per consumare quello che da queste parti è uno dei riti fondanti della nazione.

Noi espatriati, non avendo famiglia argentina, ritroviamo il calore familiare in altri espatriati o negli amici più stretti. Se, nel precedente post, vi avevo raccontato la mia negativa esperienza come tanguero, debbo ammettere, a scapito della mia linea e dello charme, che ho avuto molto più successo con la parrilla, ovvero la griglia: il tempio pagano di ogni casa argentina.

L’asado domenicale, seppur preparato da un non nativo, per rispetto della cultura locale segue l’ortodossia. La convocatoria dei commensali avviene circa due ore prima di addentare le carni. Il salmo prevede che l’asador, colui che cuoce la carne, debba godere di buona compagnia e di vari brindisi nell’officio delle sue funzioni. Qui, solitamente, la mascolinità del rituale emerge piuttosto chiaramente, in quanto si assiste ad una certa suddivisione di funzioni che va di pari passo con l’appartenenza di genere. Mentre gli uomini si radunano attorno al fuoco, sbevazzando allegramente nella terraza o nel patio della casa, le loro compagne si intrattengono all’interno, sbevazzando altrettanto allegramente, ma preparando tutto ciò che non sia di origine animale: verdure, contorni, dolci e frutta. Nel frattempo allestiscono la zona dove il sacrificio animale si compirà: la luculliana pantagruelica tavola. Nei prossimi post, se avete trovato questa introduzione al rito pagano dell’asado di vostro interesse, seguiranno informazioni più dettagliate circa questa cerimonia.

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Natale in anticipo

Natale in anticipo

Un po' dappertutto in Francia, il Natale comincia a novembre. Il giorno di Ognissanti c'è solo una categoria di lavoratori che non può godersi il giorno di vacanza: i montatori di luminarie. Tutti gli anni i primi giorni di novembre loro sono lì ad assicurare ghirlande, abeti e Babbi Natali luminosi, scintillanti e anche un po' kitsch, a tutta la città.

Qui a Chambéry, è così. Catapultati nell'atmosfera di Natale con largo anticipo, gli "chambériens" non sembrano affatto esserne disturbati, anzi, è da un mese che attendono e fremono per l'evento dell'anno: l'apertura del mercatino di Natale. E mentre a me sembra di dover smaltire una sorta di jet lag, qui è già tempo di pupazzi di neve (finta, per il momento) e vin brulé. Ebbene sì, ieri 29 novembre, questo famoso mercatino ha aperto le porte ad una cosa come 50.000 persone che si sono riversate tra le stradine del centro in cerca del regalo perfetto o semplicemente di crêpes, gauffres e macarons.

Il mercatino di Natale di Chambéry ha lo stesso stile di quelli più famosi delle regioni della Francia dell'est come l'Alsazia e la Franca Contea, solo in versione mini. Se Strasburgo a dicembre è invasa dal mercato che si spinge fino alle porte della città, qui a Chambéry solo la via pedonale, quella più centrale è adibita all'accoglienza degli stand. Ci sono tante piccole casine di legno addobbate a dovere ed ognuna vende qualcosa di particolare e caratteristico. Si possono trovare: berretti e guanti di lane pregiate, saponi e saponette artigianali, miele e marmellate fatte in casa, dolci tipici regionali, gioielli e bijoux fabbricati a mano e tante altre cose. In più c'è lo chalet di Babbo Natale dove i bambini fanno la coda per evitare di scrivere la letterina e confessare direttamente al Père Noël i loro desideri.

L'atmosfera è calorosa e ti fa sentire a casa. Per me Natale vuol dire casa e camminare in mezzo alle luci sulle note di Jingle Bells è come se fosse partito il conto alla rovescia e significa che manca poco al momento in cui sarò seduta ad una tavola imbandita, davanti a un piatto di tortellini fatti dalla nonna e circondata dalla mia famiglia. 

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Il Consolato e la letteratura italiana

Il Consolato e la letteratura italiana

Avverto il lettore che questo è un post pieno di nostalgia, e come tale, lo stesso abbia la pazienza di leggerlo fino in fondo, senza annoiarsi se intenderà che il passare del tempo muta le cose. Uno splendido palazzo ha accolto il Consolato italiano fino a pochi mesi fa. Questa istituzione è stata, per molti decenni, il punto di riferimento per la comunità di origine italiana e per gli stessi alessandrini legati all’Italia. Ora ospita una banca che avrà i fondi necessari per restaurare un bellissimo edificio che aveva bisogno di molta manutenzione e cura. I tempi cambiano, l’Egitto è passato in mezzo ad un’altra rivoluzione e ad una controrivoluzione, i tagli alle rappresentanze consolari e diplomatiche hanno colpito anche la città alessandrina. Non sono molto lontana da piazza Saad Zaghloul, di fronte al tram che passa per il centro e alle toilette pubbliche. C’è un semaforo che è sempre verde o sempre rosso e che, come d’abitudine, non rispetta nessuno. Il consolato custodiva diversi archivi, tra i quali, quello della rappresentanza di Port Said (città costiera a ovest di Alessandria che è stata, per molto tempo, sede di una numerosa comunità di italiani) pieno di cartelle ingiallite che hanno visto il passaggio di anni di esposizione alla salsedine.

b2ap3_thumbnail_164644_1782033554410_3196759_n.jpgL’edificio, infatti, si trova sul lungomare e, sebbene, continui ad essere uno dei luoghi più belli della città, i documenti rischiavano di esser consumati dall’effetto del mare: così ingialliti che correvano il rischio di sbriciolarsi come foglie secche. Resistono le piante e i fiori del piccolo giardino protetto dal cancello: le palme e le rose hanno colori brillanti e sono ben protette dal vento che proviene dal mare. Oltre a possedere un arredamento di inizio novecento di alto pregio, il consolato gestiva anche il sacrario militare di El Alamein, luogo simbolico di un’altra disfatta dell’esercito italiano e conservava i documenti della vita di Giuseppe Ungaretti e di Filippo Tommaso Marinetti. Il primo giorno di tirocinio, tra le varie formalità da espletare, sono rimasta a contemplare per molto tempo i documenti (chiusi in una teca di vetro) dei due letterati. Gli atti di nascita scritti in una calligrafia ben curata e i relativi atti legati alle loro famiglie sono la testimonianza di una città che nella seconda metà dell’Ottocento era già una capitale della cultura mediterranea, senza dimenticare che ad Alessandria è nato ed è morto Konstantinos Kavafis, uno dei più importanti intellettuali greci della prima metà del Novecento.

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Le 12 fatiche di Asterix - Parte 2

Le 12 fatiche di Asterix - Parte 2

Si tratta di un flusso in costante aumento.

Io l’ho potuto verificare di persona, alla Commune… (to be continued)

 

Avendo deciso di stabilirmi qui per un po’, ho avviato le pratiche di iscrizione presso al Registro della Popolazione del comune di Bruxelles. 

La cittadinanza europea ti offre una sorta di “immunità” per tre mesi, durante i quali puoi soggiornare in un qualunque Paese dell’ Unione senza dover dichiarare o dimostrare nulla all’autorità competente...più o meno. 

Al termine di questo lasso di tempo, ogni cittadino europeo si trasforma in un cittadino straniero qualunque, che, decidendo di stanziarsi in un altro Paese, deve regolarizzare la propria posizione. 

Ricordo quella grigia e fredda mattina di gennaio, alle otto meno un quarto davanti all’imponente edificio della “Commune de Bruxelles”.

Guardandoci tristemente negli occhi, io e la mia coinquilina riproviamo quelle che pensiamo essere state le emozioni dei nostri compatrioti che sbarcarono a Ellis Island un centinaio di anni fa. 

Una grande sala del terzo piano dell’edificio della Commune di Bruxelles ci accoglie: è il Registro della Popolazione. Ci mettiamo dietro a una lunga coda di persone, in fila per prendere il numero. Lo conservo ancora. 

Gli uffici avrebbero aperto dopo un’ora e mezza, l’atmosfera si fa cupa. 

La gente continua ad affluire, sembra di assistere a una seduta dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, c’è gente da ogni dove e soprattutto, nessuno parla. 

Per un’ora buona regna il silenzio più assoluto. 

Veniamo da culture diverse, abbiamo usi e costumi differenti, eppure non facciamo che ripetere gli stessi movimenti: sguardo rapido sull’orologio digitale della sala d’attesa, sguardo al proprio numero di attesa, secondo sguardo all’orologio, incrocio di sguardi compassionevoli tra tutti quanti. 

E’ un movimento continuo. 

E’ la scintilla che fa incendiare il carburante del motore “relazioni sociali”. 

E’ quell’atmosfera di solidarietà che si manifesta ogni qual volta ci si trova tutti quanti nella medesima situazione. 

Basta una battuta. Una sola benedetta battuta per rianimare la vita nella sala. 

Invece non succede nulla, il cielo è ancora scuro, una luce grigiastra illumina i palazzoni della posta.

I finestroni della sala sono proprio di fronte, riesco a vederne gli stendardi gonfiati dal vento. Ecco, ci mancava pure il vento! Il freddo! Ok, il morale non è al massimo. 

Alle nove e trenta gli uffici finalmente aprono. Meno male. Ora non ci resta che aspettare il nostro turno. 

All’accensione dei display luminosi con il numero di attesa la sala si rianima. Quindici sportelli. La luminaria è accolta con un sentimento di sollievo dalla sala. E’ un buon segno, in genere, vuol dire che è si dovrebbe fare prima. 

No. Non funziona così, qua a Bruxelles 1000 ci sono due soli sportelli di accettazione. 

Esatto, prima si passa da uno dei due sportelli che ti destina a uno degli altri tredici restanti.

Schedati, veniamo avvertiti dal personale dell’immigrazione, più o meno gentilmente, che avremmo avuto tempo tre mesi per cercare lavoro. 

Al termine di questi tre mesi, se non l’avessimo ancora trovato, saremmo dovuti ritornare ritornare per fornire le prove della nostra ricerca attiva di un lavoro e dimostrare come ci fossimo mantenuti in quel periodo.

A questo punto, il nostro dossier sarebbe stato analizzato e, in caso positivo, ci sarebbe stato rilasciato un numero di registro nazionale provvisorio. 

No, non è tutto qui.

L’impiegato mi informa che, dall’ottenimento del numero di registro provvisorio, sarei stato sottoposto al controllo da parte dell’immigrazione per almeno sei mesi prima di ricevere la carta d’identità belga. 

Ora ho pure gli “angeli custodi”! 

Certo che noi immigrati abbiamo proprio tutte le fortune!

Per la cronaca, il numero di registro provvisorio l’ho ottenuto dopo essere tornato in quegli uffici inutilmente per cinque volte, ma la carta d’identità belga la sto ancora aspettando ora...

E’ un po’ come essere la pallina del pinball, o flipper, come meglio preferite. Si viene sballottati da un ufficio all’altro, per poi ritornare al primo ufficio in cui siete stati. Ogni volta che si risolve un pezzo dell’enigma, se ne materializza uno ancora più complesso. 

Ecco qua, il primo impatto con la “famigerata” è stato all’altezza delle aspettative. 

Avete presente il “lascia passare A-38” del film “Le dodici fatiche di Asterix”? 

Ebbene, è proprio ciò che normalmente capita quando si ha a che fare con la pubblica amministrazione belga.

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Sankt Martin e la festa delle Lanterne

Sankt Martin e la festa delle Lanterne
"Sankt Martin, Sankt Martin, Sankt Martin Ritt durch Schnee un Wind sein Ross das trug ihn fort geschwind. Sankt Martin ritt mit leichtem Mut, sein Mantel deckt ihn warm und gut" [...] .
 
Era l'11 Novembre e Martino un cavaliere dell'esercito romano nativo dell'Ungheria, stava eseguendo la sua ronda notturna per sorvegliare le Guarnigioni. La Leggenda narra che incontrò un mendicante per strada e impietositosi nel vederlo sofferente, gli donò metà del suo mantello per riscaldarsi. La notte seguente gli apparve in sogno Gesù vestito del suo mantello, e la mattina seguente l'indumento era di nuovo integro. A seguito di quest'esperienza la sua vita cambiò e divenne in seguito vescovo di Tours. La festa di Sankt Martin è una festività molto sentita nella cultura tedesca. Nelle settimane che precedono la festa, i bambini preparano lanterne di vari colori e forme. Le sagome degli animali sono di solito le preferite. I bambini solitamente ritagliano sul cartoncino colorato le sagome degli animali; quest'anno nella scuola materna dove faccio il tirocinio l'animale scelto era il riccio. Le due sagome vengono ritagliate poi incollate e all'interno viene posizionata una candela. La sera di San Martino ci siamo ritrovati tutti nel cortile della scuola e i bambini hanno acceso le loro Lanterne. Riunendoci attorno al fuoco è stato distribuito, dividendolo in due metà, (a simbolizzare il taglio del mantello di Sankt Martin); il tipico pane che tutti conoscono: il Bretzel dalla caratteristica forma di anello annodato all'estremità superiore. Una corta passeggiata per il quartiere, durante la quale tutti i bambini hanno fatto ondeggiare le loro Lanterne, ha chiuso la festa. La giornata tipo dei bambini tedeschi all´asilo trascorre in modo molto simile a quella dei bambini italiani, tranne che per alcune piccole differenze: la colazione dei bimbi tedeschi e´molto sostanziosa. Non manca mail il burro, spalmato sopra le fette di pane, preferibilmente nero; piccoli wurstel, e l´immancabile cetriolo che qui mettono praticamente in tutte le pietanze. La colazione poi viene portata direttamente dai bambini da casa (cosi come la merenda) e deve essere rigorosamente salata. Le cose dolci si possono mangiare solamente al pomeriggio, il tutto dentro a due coloratissimi Tupperware. Qui inoltre i bambini non temono il freddo e vengono portati in giardino anche quando da noi nemmeno verrebbe aperta la finestra...Ma sono veramente magnifici quando dopo la pioggia e con il terreno ancora umido, indossando stivali e Salopettes di gomma, si rotolano allegramente nel giardino e nella buca della sabbia. Quando invece la temperatura e´ piu´ mite o nei mesi primaverili-estivi, i piccoli tedeschi si dedicano al free climbig sugli alberi, la sola vista di una sola di queste scene farebbe rabbrividire mamme e insegnati di casa nostra, ma forse ci sarebbe invece qualcosa da imparare..

 

 

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Piazza Zaghloul

È il mio secondo giorno in città e devo organizzarmi. Ho preso già accordi con Christina, alessandrina che ho conosciuto su Facebook e che nei giorni successivi avrei finalmente incontrato. Si è proposta come guida perché le piacerebbe conversare in italiano. La vedrò nei giorni seguenti, nel frattempo decido di fare la spesa e di conoscere il quartiere dove abito. Fermo un taxi all’uscita del condominio e parto verso un supermercato molto noto quanto ben fornito. Non ci sono bus collettivi che portano fin alla periferia della città (dove si trova il negozio) quindi scelgo il taxi. In Egitto è abitudine, apprezzata dagli stessi egiziani, contrattare il prezzo di qualsiasi cosa, anche della corsa sui mezzi di trasporto. Per quella distanza si oscilla tra le 15 e le 8 lire, ma se non sei egiziano il prezzo può salire. Mi accordo per 10 lire e il tassista mi conduce al supermercato. Tornata a casa, con la soddisfazione di avere il frigorifero pieno, esco per il centro, portandomi dietro la guida che ho comprato in Italia prima della partenza. Arrivo in piazza Saad Zaghloul attraversando i vicoli del mio quartiere per capire come è fatto. Ci sono bar, caffetterie, macellerie, hotel, negozi di artigiani greci e negozi di abbigliamento di manifattura cinese per donne musulmane. La strada è piena di sabbia e i gatti sono ovunque (soprattutto vicino alla macelleria). Cerco di memorizzare il percorso per arrivare, nei giorni che seguiranno, puntuale al Consolato. Midan Saad Zaghloul è dedicata ad uno dei più importanti esponenti del partito nazionalista egiziano (WAFD), che, in seguito alla nascita del protettorato britannico del 1919, fu mandato in esilio come oppositore. La statua, infatti, volta le spalle alla città e guarda verso la corniche (il lungomare) Shari 26 Yulyo.

Qualche tempo dopo, parlando con un impiegato del Consolato e speculando sul perché la statua si trovasse in quella posizione, mi sono convinta che l’uomo politico si sia sentito tradito dal proprio paese, dal fatto che la famiglia reale, al quale era molto legato, abbia accettato il protettorato britannico senza ribellarsi.

Piazza Zaghloul è famosa anche per il tram: la linea tranviaria di Ramlah era già in funzione nel 1843 ed era un vero e proprio vanto di questa città multietnica e cosmopolita che conserva ancora i passaggi di molte comunità europee, nonchè dell’influenza inglese e francese. Uno dei boulevard più importanti, che parte proprio dalla piazza, è intitolato a Safiya Zaghloul, moglie di Saad nonché attivista del partito Wafd, che continuò la lotta politica anche dopo l’esilio del marito. Safyia e Saad sono due simboli di una città, che nata dal volere di Alessandro Magno, ha la particolarità di essere europea, nord africana e mediorientale, ha accolto molte comunità e oggi tenta di ritornare ai fasti dei primi anni del Novecento.

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