Blog World

Cittadini nel mondo, le esperienze di chi si trova all'estero per studio, lavoro e svago.

Balla, ma fallo in piazza!

 

Quando arriva un clima accettabile, non c’è inquinamento che tenga: la gente si riversa nelle piazze. Malgrado la maggior parte delle città non abbiamo una piazza nel senso in cui noi Italiani normalmente la consideriamo, esistono alcune realtà che hanno questa fortuna. Per le altre ci si arrangia, con i parchi, con le maestose porte in stile cinese (che quelle si trovano ovunque), o se proprio non si dispone neanche di queste, con i marciapiedi.

Ecco che nelle serate di inizio estate questi spazi aperti si popolano di gruppi spontaneamente radunati per fare un po’ di esercizio fisico tramite il ballo, dimenticarsi dei problemi della giornata e distrarsi o, perché no, fare nuovi incontri. Sono pochi i ballerini provetti, la maggior parte è gente che si improvvisa tale o che ha imparato proprio per strada e comunque se la cava. Ma coloro che conosco l’arte, sono molto felici di condividerla e per autoelezione o acclamazione popolare, diventano i leader della situazione. Sono loro cioè che propongono o condividono le coreografie codificate e trascinano tutto il gruppo di appassionati.

In questa affollatissima piazza di Huangdao, nel nord della Cina, nella stessa location non più grande di un campo da tennis, un piccolo gazebo centrale divideva gruppi eterogenei organizzati secondo colonne sonore diverse. La musica la porta qualcuno, immagino una persona rispettatissima vista l'importanza chiave del suo contributo. Taluni, condividevano la medesima amplificazione, e si trovavano quindi ad interpretare uno stesso ritmo con movimenti del tutto differenti: chi a coppie, chi in schiera. Se si guarda a sinistra saltellano, se si guarda a destra è il tango!

Non ci sono regole purché si rispettino gli spazi: se si vuole ballare per proprio conto, si può fare anche questo. O se si vuole restare ad osservare pietrificati, sì, anche questo è lecito.

L’importante, per chi si gode lo spettacolo, è saper osservare anche le file secondarie, quelle dei più timidi che non si espongono in primo piano, coloro che stanno imparando e che a tratti confondono le sequenze. Ci sono personaggi concentrati, altri totalmente rilassati, altri ancora entusiasti, e pure quelli esausti e sconsolati: ma da ognuno di loro che si impara a lasciarsi andare, a non avere timore dell’apparenza della goffaggine, dell’errore e a continuare a provare.

Quella piazza sì che è una Cina libera…!

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Quando la grigliata si chiama BBQ: lo slang australiano!

Quando la grigliata si chiama BBQ: lo slang australiano!

Tutte le volte che mi è capitato di parlare con madrelingua Inglese in Europa e in giro per il mondo...alla scoperta che abitavo in Australia....la stessa esclamazione "Oh my Gosh!" e a seguire le domande di rito sul come facessi io Italiana a capire l'inglese Australiano.

Di fatti per chi conosce l'Inglese e le sue sfumature ed accenti...sa per certo che l'Australiano è particolarmente complesso da capire...al meno all'inizio...

In Australia, infatti, non solo storpiano i suoni delle parole come può essere in alcune aree degli USA dove i suoni sembrano più lunghi... o dove a volte ti ci vuole quei 5 minuti per metterti nel "code" dell'accento americano....in Australia amano accorciare le parole..."stringarle" fino a che vi siano poche lettere rimaste nella parola iniziale... 

La semplice domanda "how are you?" che abbreviata nei messaggi telefonici è "H r u" suona come  "auaia?"...tant'è che all'inizio entrando nei supermercati e non sapendo niente dell'inglese mi trovai mille volte a fare figuracce del tipo che domandavo cosa mi avessero chiesto. Dopo qualche giorno dall'arrivo ero arrivata alla personale conclusione che "auaia" fosse il loro "ciao" questo perchè tra due interlocutori si può sentire uno scambio  "auaia"/"auaia"! Nel tempo ho capito che è il "come va?" che effettivamente viene usato come un ciao. Ovviamente può capitare che ti venga voglia di rispondere...è ovviamente lecito...ma con riguardo a dire cose piacevoli...del tipo "awesome /perfect/ good/not bad, etc". In generale infatti alla domanda "How are you?" è raro sentire risposte quali "so so/ not good/bad ect". Pubblicamente in Australia si è sempre felici...cosa che ancora a distanza d'anni mi fa arrabbiare!

E come il semplice saluto viene abbreviato vi è una lista di parole che bisogna imparare per sopravvivere agli eventi sociali....

BBQ o Barbie è la grigliata...dove rigorosamente si porta B.Y.O. In pratica ti porti sia il tuo cibo (che in genere lo metti nel gruppo delle vivande che tutti possono mangiare) e i propri drink alcolici.... questi a meno che non sei fra persone internazionali..è raro che vengano divisi.

Il mio primo BBQ fu sconvolgente...andai con un mio coinquilino in una casa in campagna per un compleanno di un amico che aveva preparato uno spezzatino di canguro (si mangia, si mangia!) e chiedeva ai suoi ospiti di portare i drink. Nulla di problematico se non fosse che all'epoca era una settimana dal mio arrivo, forse due... e il mio inglese era ancora inesistente. Andai con all'epoca il mio primo amico Australiano, Ross, a comperare ad un bottle shop (le leggi australiane prevedono che gli alcolici vengano venduti in appositi negozi) un pò di vino. Ne uscii, impossibilitata dallo scegliere, con 4 litri di vino in cartone (NON SCELTI DA ME) che portai alla grigliata convinta di metterli sul tavolo e chi voleva si serviva!...Invece lì un pò sconvolta scoprii la regola del BYO alle feste australiane che implica che tu bevi solo e unicamente quello che hai portato (immaginatevi me bere 4 litri di cartonello!)...e che se proprio sei in confidenza qualcuno può offrirti una birra, o chiederti di prendere un bicchiere di vino...la cosa che mi sconvolge ancor ora è che alla fine della festa...non è vista cosa brutta riportarsi a casa il proprio alchool... cosa che mi portò ad una discussione con il mio coinquilino che mi fece riportare a casa il vino non finito! ;( 

Tornando allo slang... ad un party potrai sentire STUBBY che altro non è che una birra in bottiglia e lo stubby holder (un contenitore fatto dello stesso tessuto delle mute dei surfers che tiene in fresco la birra). 

Parole come wify (moglie), hubby (marito)...ma anche MATE che è la definizione per eccellenza di AMICO per l'autraliano...poi ci può essere BUDDY (che è più quel tipo di amico con cui vai a bere o con cui hai davvero molta confidenza). Fondamentale per la mia esperienza, e che all'epoca mi spinse a comperare un dizionarietto di Aussie Slang (aussie è australiano)... è ARVO.

Al terzo giorno che arrivai a Melbourne, avevo conosciuto un ragazzo che mi invitò fuori per una birretta... e mi disse "let's meet at ARVO"... andai dunque in Flinder station per chiedere informazioni e comperare un biglietto per ARVO. Ricordo ancora quel bigliettaio, cicciottello, con guancette rosse e baffi grigi... piegarsi letteralmente in due dal ridere alla mia richiesta di comperare un biglietto per ARVO. Pensai fosse un pò maleducato ridere per il mio accento ed inglese. Venne fuori dal suo ufficio e mi disse sornione: "di dov'è lei signorina?! Straniera?" e mi spiegò che ARVO è Aussie slang per Afternoon... pomeriggio!!!E mi diede in questa maniera il suo welcome al gergo australiano!

Vi è una lista di parole infinite che gli australiani usano comunemente e che danno per scontato che gli stranieri conoscano... per cui vi consiglio di visitare i siti online dove ci sono dizionari di slang!:) 

 ps.Al momento mi trovo in visita a Belfast, nell'Irlanda del Nord, e devo dire che mi sono venuti dubbi sulla mia padronanza della lingua inglese....ma anche sulla correttezza e piacevolezza di questo accento a me assai più incomprensibile di quello Australiano!

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Storie di ordinario nomadismo

Storie di ordinario nomadismo

Nomade, un po' per natura e un po' per necessita', sono approdata nella terra delle patate fritte, delle cozze e della birra. Si', sono in Belgio, nel cuore di quella - piu' o meno - amata Europa. Come molti altri, giovani e meno giovani, europei cio' che mi ha portato a Bruxelles e' stato un lavoro temporaneo e, forse, la speranza che poi qua potessi trovare quello che il mio paese non puo', purtroppo, offrirmi.

Facciamo un paio di passi indietro. Mi presento: sono Raffaella, vivo - temporanemente - a Bruxelles e negli ultimi anni ho vissuto in sette citta' diverse, ho cambiato almeno quindici case, con relativi traslochi in macchina, treno, aereo e bus. La mia traiettoria di vita ha incontrato e si e' scontrata con altri nomadi, il risultato e' che ho molti amici sparsi in giro per il globo. Amici che sento, possiamo azzardare, regolarmente, ma che vedo, purtroppo, molto meno. Certo molte persone le perdi per strada, ma fa parte del gioco. Capita che molto spesso, in questa "piccolo Mondo", ci si scontri ripetutamente. Mi e' capitato di ri-incontrare vecchi amici in luoghi diversi, mi e' successo di ritrovare persone che avevo perso di vista nei posti piu' impensabili. Mi e' capitato di bere rakja con una persona a Sarajevo e, poi, anni dopo di bere birra belga con lui qua a Bruxelles. Questa e' la faccia poetica della medaglia del nomade, sono incroci di vite che arricchiscono - molto - e ti aprono gli occhi, e la mente.

C'e' pero' una parte molto meno romantica e sta nelle difficolta', che non sono poche. Essere nomadi, vuol dire anche non avere certezze, vuol dire che non saprai dove sarai, cosa farai. Se poi sei nomade, perche' un lavoro lo rincorri e' ancora peggio. Al non sapere dove andrai, segue un sentirsi sospesi in una vita dove il futuro non ha alcuna definizione. Citando Zygmunt Bauman e' il carattere "liquido" della vita contemporanea. E poi ci sono le questioni pratiche: ogni spostamento significa generalmente un trasloco, significa dover trovare una casa in un posto che non conosci, significa dover familiarizzare con posti e persone nuove. Significa dover parlare tutto il giorno una lingua che non e' la tua. Io, ad esempio, prima del caffe' mattutino, posso parlare solo italiano! L'essere nomadi e' uno sforzo che richiede ingredienti quali lo spirito di adattamento e la pazienza, e quest'ultima e' una caratteristica di cui sono difettosa. E poi devi tenere in considerazione che le forme di alcune relazioni umane, come la famiglia e i vecchi amici, assumono forme diverse.

Detto cio', torniamo a noi, sono Raffaella e vivo a Bruxelles da circa otto mesi. Sono arrivata qua per un breve lavoro e, al termine, ho deciso di restare qua. Mi piace questa citta'? Ancora non ho una risposta, sicuramente a giorni alterni. Il mio rapporto amore-odio con Bruxelles e' dovuto, credo, alla sua mancanza di un'identita' forte, sensazione che ho avuto in altre citta' nelle quali ho vissuto, come Granada, in Spagna, e Roma. L'amore e' che e' Bruxelles e' molto stimolante, culturalmente parlando.

Ah mi dimenticavo. Di me: ascolto tanta musica, soprattutto tanti Pearl Jam e Ben Harper, leggo tanti libri, soprattutto Wu Ming ultimamente, e mi piace Modigliani.

Consigli d'ascolto, per la lettura di questo post: Pearl Jam - Given to fly

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Paese che vai, traduzioni che trovi...

Paese che vai, traduzioni che trovi...

Che gli italiani abbiano un rapporto alquanto difficile con l'inglese è abbastanza risaputo.

Ma che si voglia o no, ormai, alla soglia del 2015, la terminologia inglese per parlare di cose comuni è ormai entrata a far parte del nostro lessico.

Da tempo infatti, ormai, utilizziamo termini come “computer”, “mouse”, “file” “desktop”, “mail”, ma non solo, andiamo nei “Pub”, ascoltiamo “CD”, beviamo “cocktail”, scriviamo delle “chat”, e sarebbe alquanto singolare andare in un negozio di “elaboratori”e chiedere un “topo” nuovo o la riparazione di un “ratto” che non funziona più.

Eppure qui in Spagna, funziona proprio così....

Durante i primi giorni di lavoro a Madrid, ho avuto modo di vedere che qui non esiste nessuna “mail” nessun “computer” e nessun “mouse”, esistono solo un “correo elettronico”, un “ordinador”, un “ratton”, un “escritorio” dove si salvano le proprie cartelle e che tutto, ma proprio tutto viene tradotto!!!

Che dire, è proprio il caso di dire che gli spagnoli spagnolizzano tutto!!!

In Spagna non esistono “baby sitter” ma solo “canguros” e in discoteca all'entrata non si trovano “bodyguards” ma “guardaespaldas”.

Quello che non viene tradotto, invece, viene detto e scritto esattamente come si pronuncia, come ad esemplio “Plis” al posto di “please” e “yu” al posto di “you”.

E' assolutamente necessario dire che anche noi traduciamo titoli di film e titoli di libri, ma qui suole tradurre anche i nomi propri di persona!!! 

Chissà come sarebbe felice il bel Richard Gere di sapere che qui lo chiamano Ricardo Gir.

Parlando con un mio coinquilino di Granada, che ha studiato per un anno a Roma, mi ha fatto molto divertire sapere che riteneva l'italiano come una lingua molto mescolata all'inglese e mi diceva che, qui, in Spagna, chi utilizza “questi” termini viene considerato come una persona spocchiosa e che se la tira..

Ovviamente anche il reparto cucina ha subito traduzioni a volte imbarazzanti. Per chi avesse una gran fame può mangiarsi un buon “perrito caliente” al posto dell'hot dog e una hamburguesas originale americana...

A quanto pare, in Spagna, il detto “parla come mangi” è stato preso alla lettera...

 

 

 

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Alessandria, finalmente

Alessandria, finalmente

Ore 15 del 10 Settembre 2010. Ad accogliermi c’è il caldo, il silenzio, sabbia, due bambine che giocano per la strada. Arrivo in un’Alessandria d’Egitto deserta con un’auto che mi ha prelevato dall’aeroporto del Cairo. Non era la mia prima volta in Egitto, conoscevo già le formalità del visto, sapevo già che l’addetto alla sicurezza mi avrebbe chiesto perché viaggiavo da sola: avrei risposto in maniera educata e mi sarei diretta verso l’uscita con il bagaglio. Ero stata al Cairo all’incirca un anno prima per motivi personali, ero di nuovo lì per un’esperienza di stage. Non parlo l’arabo, me la cavo con altre lingue, ma gli alessandrini conoscono anche l’inglese e il francese. Non ricordo la durata della traversata nel deserto (silenzio, sabbia, l’autista che, gentilmente, mi offre il succo di mango per il troppo caldo, ancora silenzio e sabbia) ma l’arrivo è stato sorprendente. Quando ho visto la ring road alessandrina (una sorta di tangenziale) mi son detta, tra me e me, che non era stata una buona idea accettare di andare fin lì. Il caos e le auto che sfrecciavano senza particolare interesse per la segnaletica non mi hanno dato una buona impressione, però il ricordo che per certi versi il traffico italiano sembra un po’ quello egiziano, mi ha rassicurato. Mi chiedo perché, al contrario, Il centro di Alessandria a quell’ora sia particolarmente silenzioso, senza traffico.  Arrivata a destinazione, porto i bagagli al sesto piano (avevo affittato una stanza a cinque minuti dal Consolato italiano) e il portiere/addetto alla sicurezza di quel palazzo/centro commerciale (fino al quarto piano si potevano trovare solo negozi) mi invita a completare alcune formalità.

Mi informa subito che, per motivi di sicurezza, per tutta la durata del mio soggiorno non potevo ospitare uomini in casa, né amici di sesso maschile e visto che ero occidentale dovevo stare ben attenta a chi incontravo. Dopo questo breve siparietto, decido di arrivare fino al mare per farmi un’idea del centro. La passeggiata dura poco, perché ho intenzione di collegarmi ad internet per avvertire in Italia del mio arrivo. La linea salta di continuo, decido di restare in casa per il troppo caldo. Verso sera la gente si riversa per le strade e il mio vicino del piano di sotto, un muezzin che gestiva una moschea abusiva, con un megafono piantato alla finestra, inizia la sua preghiera, più lunga del solito. Era la fine del Ramadan, la fine di un periodo di digiuno molto lungo e l’inizio di alcuni giorni di banchetti e festa per le strade. Quella notte non ho dormito e la mia avventura egiziana era appena iniziata. 

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Il delta del Tigre

Il delta del Tigre

QUE SE SIENTE?

24 novembre, lunedì. Anzichè iniziare imprecando una nuova settimana di lavoro, la Repubblica Argentina commemora il Giorno della Sovranità Nazionale. Pochi sono i cittadini che conoscono la ricorrenza da festeggiare, in molti però ringraziano e, fin dal venerdì, ne approfittano per trascorrere l’ennesimo ponte regalato dal governo per incentivare il turismo interno. Come tutti gli argentini, mi sembrava oppurtuno dare il mio contributo alla sofferente economia nazionale e uscire dai tentacoli di Buenos Aires, per tuffarmi, è proprio il caso di dire, nel meraviglioso delta dell’immenso Rio Paranà.  Alcuni chilometri prima della foce di questo lunghissimo fiume, che sbocca nel noto Rio de La Plata, si diramano in un’infinità di piccoli canali ed arterie minori che dividono migliaia di piccoli appezzamenti di terra, o isole, come qui vengono chiamate. Su queste isole, ormai da anni, vivono il più disparato genere di gente: persone in fuga dalla caotica capitale, amanti del silenzio, amanti dei rumori della natura, hippies ( o così almeno li definiscono i locali!), classi popolari in fuga dai prezzi esorbitanti della città e soprattutto, il regno della seconda casa per migliaia di portenos ( gli abitanti di Buenos Aires) che durante la bella stagione abbandonano la città in cerca di pace.  Almeno nel tratto più vicino alla città di Tigre è tutto un susseguirsi di case piccole, molto belle con giardini curatissimi con il proprio molo privato, dal quale famigliole felici salutano i turisti del Delta che come me hanno affittato una cabana (a metà fra una casetta ed una palafitta) per il fine settimana. E’ incredibile come dal caos di Buenos Aires in 30 minuti si possa giungere in questo micromondo fluviale, lento, silenzioso e dominato da una natura rigogliosa. Per tre giorni sono stato coccolato dalle premure delle meravigliose sorelle Vitale, Norma e Monica, nel loro bellissimo rifugio chiamato: “Que se siente?”. Sdraiati sul prato leggendo un libro, affacciati sul piccolo molo guardando i motoscafi e le canoe passare, ascoltando le storie di Hugo, cantando folklore argentino in una tavolata da 15 persone, mangiando memorabili grigliate di carne e facendo qualche bagno nel limaccioso fiume, il fine settimana è trascorso alla grande. E martedì si torna a lavorare!   

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Vivere a testa in giù: Melbourne.

Vivere a testa in giù: Melbourne.

Nel febbraio 2008 un po’ annoiata da quella che era la mia vita e dal fatto che avevo finito tutti gli esami Universitari in anticipo…decisi di partire per un’esperienza  “downunder”. Fatto il biglietto, ottenuto il visto e scelta la meta…partii alla volta di Melbourne, Victoria, Australia.

Arrivai a Melbourne in una mattina calda, anzi caldissima…c’erano circa 40° gradi…spaesata, assonnata e direi stordita dal fuso orario (in quella stagione c’erano direi 9 ore di differenza)…uscii dal mio “pulitissimo” ostello della gioventù e mi recai a zonzo con l’intento di cercare qualcosa da mangiare e di scoprire un po’ questa Australia che avevo sognato  fin da bambina.

Iniziai a camminare sotto i roventi raggi del sole…camminai per ore scoprendo posti che all’epoca non avevano ancora nome e memorie associate… camminavo e scoprivo.  C’era la China Town di Melbourne vicina a little Burke Street se non ricordo male…. Chiassosa, ricca di mille profumi di spezie e colori….mi sembrava di essere in uno di quei film americani che si finisce tutti in un inseguimento tra lame, coltelli, anatre spiumate e arti marziali.

I public bath di Elizabeth Street, il campus universitario della famosa –almeno in Australia- Melbourne University, il Victoria Market (nome in onore della regina Vittoria e del legame che gli Australiani hanno con la monarchia inglese) dove ancor oggi come allora tutti si va in coda dietro ad un furgoncino allestito a cucina, a comperare, come in  una sorta di tradizione popolare, per 5 dollari 6 donuts…niente altro che pastella fritta e zuccherata farcita di una marmellata di frutti di bosco super dolce.

Swanston street con RMIT, una delle strutture universitarie più moderne ed incredibili che abbia mai visto…sembra di essere al Centre Pompidour di Parigi, ma più tecnologico e colorato. Chiaramente è un’università che a noi, studenti internazionali, costa più che parecchio!

La State Library con la sua facciata ispirata ai templi greci…con in più quel tocco moderno che piace tanto agli architetti australiani per cui nel giardino è possibile vedere una colonna dorica che sprofonda nel terreno come fosse una rovina storica.

E camminando, non discostandomi dal quelle che sono le arterie principali del centro….della CBD (central business district) arrivai in quello che fu per me amore a prima vista. Flinder square e South Bank.

Dovete sapere che tutte le città Australiane hanno una South Bank…che altro non è che un lungo fiume…addobbato ad arte con particolari strutture architettoniche e con camminate e giardinetti.

Credo che l’anima di ogni città d’Australia (almeno sulla costa Est- l’altra non l’ho ancora visitata) si possa percepire dalla banchina…

Melbourne offre uno spettacolo architettonico come non ne ho visti molti (e io sono una che ha avuto l’occasione e la fortuna di viaggiare)..una giustapposizione di stili, epoche storiche ed emozioni che se visti in un giorno di pioggerellina prendo colori impensati e quel non so che di romantico. È per me infatti uno dei posti più romantici al mondo…forse perché è legato al momento in cui mi sono innamorata dell’Australia. E seppur allora ero ancora pesce fuor d’acqua ho deciso che mi sarebbe piaciuto vivere “a testa in giù”. 

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Le 12 fatiche di Asterix - Parte 1

Le 12 fatiche di Asterix - Parte 1

Quando partii dall’Italia due anni fa (Un'avventura...), detti per scontato che la ricerca di un lavoro sarebbe stata difficile. Misi in conto alcuni problemi che avrei dovuto affrontare: la lingua, l’aumento del flusso migratorio verso i paesi del nord Europa, il clima e, soprattutto, la famigerata burocrazia belga. 

Valutare i pro e i contro di una decisione così importante come quella di trasferirsi in un Paese nuovo è fondamentale. Aiuta ad arrivare preparati spiritualmente e logisticamente. Consente di risparmiare tempo e ottimizzare le risorse.

Ma come normalmente accade, tra il pensare e il fare… c’è di mezzo “e il”. 

Io sono venuto per cercare lavoro come vivaista o giardiniere. Ho un bagaglio di esperienza di tre anni nella riproduzione di rose antiche. Giardinaggio ne ho fatto parecchio. 

Il mio vecchio lavoro! Riproduzione in campo di rose antiche.

Sono giunto in Belgio consapevole di conoscere un po’ di francese, di inglese e anche la lingua di Dante. Supponevo che l’italiano non sarebbe stata la mia carta vincente e davo per scontata la necessità di ampliare le mie abilità linguistiche. Ovvio, direte voi: vai a vivere a Bruxelles, il francese lo devi sapere! Quello che normalmente sfugge, a me per esempio è successo, è l’ordinamento dello stato:  il Belgio è una monarchia federale, suddiviso in tre regioni linguistiche, di cui Bruxelles è la capitale. Tre regioni linguistiche! Tre lingue. 

L’affare si complica: c’è il francese della comunità vallona, c’è il fiammingo (l’olandese per intenderci), e pure il tedesco. Tra fiamminghi e valloni non corre assolutamente buon sangue. La comunità germanofona è confinata a ridosso del confine tedesco e dimenticata lì. 

Per aggiungere un po’ di suspense alla storia, possiamo dire che Bruxelles è densamente popolata da francofoni, ma situata in territorio fiammingo. Insomma, la capitale dell'Unione Europea è situata in una delle zone più "dis-unite" d'Europa...

Mi è capitato spesso di recarmi presso vivai gestiti da fiamminghi per consegnare i miei curriculum e di essere totalmente ignorato per essermi rivolto a loro in francese. Non parli fiammingo, non esisti!  Non sono cose che fanno piacere. Ti fanno arrabbiare. E' molto umiliante. Vengo per offrire un servizio, per mettere a disposizione le mie capacità. Non rubo niente a nessuno!

Ovviamente, non tutti i fiamminghi sono così intransigenti, anzi, i miei compagni dei vari corsi di inglese che ho frequentato sono esattamente l'opposto. Ma episodi di questo genere possono accadere e ti segnano profondamente. Ti fanno riflettere non tanto perchè vieni trattato nello stesso modo in cui troppi italiani trattano i cittadini stranieri, ma perchè se succedesse a loro si renderebbero conto che, una volta fuori dai confini nazionali, siamo tutti immigrati. 

L’aumento del flusso migratorio dai Paesi dell’area PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna), unito a quello proveniente dall’est Europa, dall’Africa e dall’Asia, si va a collocare al centro delle difficili dinamiche interne allo stato belga, e va a intensificare le tensioni tra le diverse comunità. 

Si tratta di un flusso in costante aumento.

Io l’ho potuto verificare di persona, alla "Commune de Bruxelles"… (to be continued)

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Io, me e Toto Cutugno

Io, me e Toto Cutugno

Essere un italiano all'estero non è sempre facile. Quando sono arrivata in Francia per la prima volta tre anni fa pensavo di essere accolta con entusiasmo e curiosità invece mi sono trovata davanti a situazioni tra le più disparate:

 - a cena dal direttore del liceo dove lavoravo. "Cara Laura, siamo contentissimi di avere un'italiana tra noi. Ma è vero che siete tutti mafiosi?". Ta dan! Questa è una domanda alla quale tutti gli italiani all'estero hanno dovuto rispondere. E così mi ritrovo a dover spiegare, nell'incredulità generale, che non i tutti gli italiani sono mafiosi e che, sopratutto, non tutti i mafiosi sono italiani. Non sempre il messaggio passa, anzi alcune volte mi hanno riproposto la stessa domanda e ho dovuto giurare di non far parte di nessun clan.

 - uscita tra amiche. Io, una tedesca e un'americana (ok, sembra una barzelletta ma è tutto vero) chiacchieriamo davanti a una tazza di té. La tedesca: "scusami sai, ma io non capisco proprio perchè voi italiani siete così mammoni. Lasciatele vivere ste mamme!". Innanzitutto, la mia mamma non l'avevo messa nella valigia e non la nascondevo neanche nell'armadio. Decido di cavarmela menzionando giusto quel fenomeno che si chiama "fuga di cervelli" per non entrare nel dettaglio. Lei mi risponde che non lo conosceva e che in Germania i cervelli rimangono al loro posto. Chiamali stupidi.

 - in discoteca. Un francese provolone si avvicina, scopre che sono italiana e mi urla nell'orecchio le tre parole italiane che conosce pensando di fare colpo: "pizza, spaghetti, Berlusconi", il tutto corredato da gesti strani. Lì, purtroppo non ho avuto la forza di ribattere, ho sorriso e ho rifiutato le sue avances con la scusa che non ero io la nipote di Mubarak.

 - al compleanno della mia collega francese. Arrivo a casa sua e mi ritrovo davanti a cinque ragazze biondissime, altissime e magrissime. Io quel pomeriggio ho il monociglio perchè ho perso la pinzetta e i miei capelli nerissimi sono gonfi perchè (che strano!!) piove. Lei mi presenta a tutte e intavola una conversazione di venti minuti sul fatto che per un pelo non mi chiamo come Laura Pausini. Cavoli, è proprio un peccato!

 - al mercato. Sono intenta a scegliere con cura la frutta e la verdura per la settimana, sorrido al venditore e gli porgo il mio bottino per pagarlo. Appena dico una parola lui riconosce l'accento e incomincia a parlarmi in un inglese maccheronico e lentissimo, scandendo le parole una ad una. Rimango interdetta un attimo poi capisco che lo sto facendo perchè pensa che io non capisca il francese. Eppure avevo parlato la sua lingua pochi secondi fa. Provo a dirgli che posso farcela a parlare francese, del resto è da un bel po' che abito qui. Niente da fare, il venditore premuroso mi risponde "o-k-e-y". Pago, me ne vado e nella mia testa gli faccio il gesto dell'ombrello.

Ce ne sarebbero tante altre di storie che mi sono capitate da raccontarvi ma mi fermo qui perchè sono sufficienti queste a farvi capire che spesso noi italiani siamo considerati i migliori in tanti campi, moda, cucina, arte. Ma in tanti altri casi ci troviamo a doverci scrollare di dosso alcuni degli stereotipi più antipatici. E' per questo che ogni tanto vorrei non prendermela e fare come Toto Cutugno, cantare con la chitarra in mano "sono un italiano vero!".

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Si parte... direzione Australia! :)

Ricordo ancora la notte del mio primo volo (è per vero il mio secondo volo visto che andai in Australia nel 2000 come regalo per i miei 18 anni – c’è chi prende la patente e chi come me vola) ma per me quel volo fu un po’ il primo… il primo viaggio così lungo da sola… il primo viaggio in cui partivo all’avventura in un posto di cui non conoscevo la lingua. Il panico.
Era notte avanzata quando mia sorella busso alla mia stanza e mi disse “è ora, andiamo che ti accompagno in aeroporto”... il batticuore, come quando ti innamori o hai tanta paura… il terrore… le mie parole: “no, non parto, ho cambiato idea… io parlo francese non inglese”… e la risposta di mia sorella, risoluta e pragmatica come sempre, “hai fatto il biglietto, parti.”
Per cui non c’è via di scampo, si parte. Nei “guai” in cui ci si mette da soli bisogna uscirne da soli. Fa parte del crescere!
M’imbarco con un micro vocabolario di inglese, un frasario e qualche dollaro australiano datomi dai miei in caso di bisogno… 20 kg di bagaglio per 8 mesi di vita. Parto. Il primo scalo a Francoforte. Secondo volo, m’imbarco. 12 ore dopo arrivo a Bangkok. M’imbarco. 8 ore dopo arrivo a Melbourne. Non so più dove sono. Non so che ore sono. Mi sento come drogata. Dopo circa 28 ore di viaggio, cibi e odori di tutti tipi, aria condizionata sparata sulla testa… reduce da un’esperienza direi alquanto alienante in cui ti senti come un pollo in gabbia, arrivo.

Sono a Melbourne. In aereoporto. Primo step le valigie, secondo step l’immigrazione, terzo step la dogana. Sono in un limbo, vivo un non senso di quello che accade. Allucinata dal lungo viaggio, persone in divisa mi iniziano a rivolgere domande sui miei intenti in terra australe. Una poliziotta mi chiede se parlo inglese, un agente della security dell’aereoporto mi chiede se ho droghe, cibi o prodotti proibiti…e chiede di aprire la valigia per un’ispezione. Tutto ok, il doganiere mi fa entrare… e mi dice con un sorriso gioioso “Enjoy Australia!”.
Sono arrivata, non ci credo. Sono arrivata e l’avventura ora è reale.

Prima di lasciarvi mi permetto di darvi alcuni tips, consigli utili a come sopravvivere ad un giorno e passa di viaggio… dato che ormai al mio quasi decimo “avanti e indietro” mi considero un po’ un’esperta del lungo viaggio, una pendolare tra i due emisferi.
1. Vestirsi comodi, no stivali, se possibile ciabatte e calzini…onde evitare la rottura in vari aereoporti del togliti gli stivali per passarli ai raggi x….
2. Mettersi un bel po’ di crema durante il viaggio…27 ore di aria condizionata seccano assai la pelle!
3. In volo coprirsi bene, cappellino e coperte se non volete arrivare ammalati… soprattutto se siete nei posti di coda nella corsia centrale. Li si gela…
4. Visto che è gratis, se amate il vino, il rum e qualsiasi altro alcolico… bevete! Cercate di raggiungere uno stato di ebrezza che aiuti il sonno e lo scorrere delle ore…
5. Portatevi un piccolo beauty-case in volo…che vi aiuti a ritornare umano ai vari scali…
6. Ubriacatevi di film che devono ancora uscire in Italia e se siete fortunati fate chiacchere con i compagni di viaggio… se siete ancora più fortunati che il volo non è super pieno sdraiatevi appena potete così da occupare posti e “crearvi un letto”. Le vostre gambe e la vostra schiena ringrazieranno!
7. Portatevi dati quali dove dormirete la prima notte via e indirizzo, perché in aereo vi verrà richiesto di compilare una schedina per l’immigrazione dove chiedono anche questo.
8. Non portate nulla di illegale che le dogane australiane non scherzano, e se lo fate meglio dichiararlo… prima di ricevere multe o rifiuti di ingresso.
Enjoy!;)

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