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Cittadini nel mondo, le esperienze di chi si trova all'estero per studio, lavoro e svago.

La strategia

Come primo passo, mi iscrivo al centro pubblico per l’impiego di Bruxelles: Actiris. 

Il Belgio, l’avevo già accennato in un articolo precedente, è uno Stato federale dalla struttura molto complessa. Tale struttura è composta da entità denominate “Regioni” e “Comunità”. In sintesi, le Regioni sono entità territoriali, simili per molti aspetti alle regioni italiane, o meglio ancora agli Stati americani o ai Länder tedeschi, mentre le Comunità sono entità linguistiche e culturali, legate quindi alla persona e non strettamente al territorio. 

Il Belgio è composto, quindi, da tre regioni (Fiandre, Bruxelles Capitale e Vallonia) e da tre comunità linguistiche (francese, nederlandofona e germanofona). Talvolta Regioni e Comunità linguistiche coincidono e si sovrappongono, altre volte no. 

Per questo motivo, i servizi pubblici per l’impiego sono divisi a loro volta in quattro entità:

ACTIRIS per la regione di Bruxelles Capitale, bilingue francese e nederlandese; FOREM nella regione vallona, di lingua francese; VDAB nella regione delle Fiandre, di lingua nederlandese; ADG per i comuni germanofoni, tutti situati nella provincia di Liegi.

Indipendentemente dalla loro identità regionale e linguistica, tutti i servizi pubblici per l’impiego hanno il compito di favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e funzionano più o meno nello stesso modo.

 

Secondo: inizio a creare un profilo online sui siti web delle principali agenzie di lavoro interinali.

 

Terzo: inizio a frequentare due corsi di lingua (inglese e francese) per rafforzare le compentenze linguistiche e avere al tempo stesso le certificazioni per poterle dimostrare. A oggi, non ho ancora smesso di andarci. Mi piace, è utilissimo e, soprattutto, per niente caro. Mi sono appoggiato all’EPFC, un’associazione creata dalla Libera Università di Bruxelles e dalla Camera di Commercio belga. Essendo iscritto ad Actiris, pago 68 euro per un corso di 120 ore. 

 

Quarto: inizio a collaborare con gruppi informali di ragazzi italiani a Bruxelles: Giovani Italiani Bruxelles e La Comune del Belgio. Questi due gruppi sono poi diventati associazioni senza scopo di lucro, regolarmente riconosciuti dallo stato federale belga. 

 

‘Giovani Italiani Bruxelles’ è un progetto indipendente che mira a ottenere politiche concrete per i giovani italiani.  L’iniziativa riunisce giovani italiani con esperienze diverse: stagisti, lavoratori precari, professionisti, disoccupati e studenti, accomunati dall’ interesse per la situazione politica in Italia e in Europa. E’ un’iniziativa apartitica e volontaria: ci si incontra nel tempo libero, non c’è uno staff fisso e non abbiamo finanziamenti. A dirla tutta, non disponiamo nemmeno di una sede.

L’idea è quella di creare uno spazio per lo scambio d’idee e trovare insieme possibili soluzioni ai problemi che i giovani affrontano in Italia e all’estero e che riguardano soprattutto il mondo del lavoro, dell’istruzione, della ricerca e in generale delle politiche giovanili.

 

“La Comune del Belgio” è un gruppo di emigrati che credono che la solidarietà sociale e l’aiuto reciproco siano dimensioni fondamentali per superare al meglio le situazioni difficili e per ricominciare a “costruire un mondo migliore” di quello odierno. In opposizione all’individualismo sfrenato che regna oggi, con questi ragazzi si è iniziato un percorso per ricomporre quel senso di comunità e quei legami sociali che il sistema in cui viviamo hanno disperso. Mettere a disposizione della “Comune” un po’ del proprio tempo è il modo per creare una rete di solidarietà diffusa e facilmente accessibile. L'obiettivo dell’associazione è quello di fornire una guida completa su come affrontare l'esperienza da migrante con meno traumi possibile, condividendo le esperienze personali e i problemi che ognuno ha vissuto sulla propria pelle, di volta in volta. La Comune del Belgio fornisce informazioni, riferimenti, contatti, suggerimenti e piccole consulenze. L’associazione vuole anche gettare una nuova  luce sulla storia dell’emigrazione italiana in Belgio, fotografando la situazione attuale attraverso un questionario.

Collaborare con queste due associazioni, per me ha rappresentato un modo per accrescere le mie competenze organizzative, informatiche, comunicative e di sviluppo di analisi politiche.  E’ un po’ l’occasione per unire la mia esperienza lavorativa in Italia con la mia variegata formazione universitaria (Politecnico, DAMS, Scienze Politiche) e produrre qualche cosa di concreto.

Mi costa molto: sia in termini di tempo, sia in termini di fatica. Ma ne vado fiero. 

Ne vado fiero il doppio perchè è tutto su base volontaria. Ne vado fiero il triplo perchè ho gettato le basi per la “riscossa”!

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Cammina cammina...

Cammina cammina...

Il primo inverno a Bruxelles trascorre lentamente, molto lentamente. 

Quest’anno il clima è rigido, con frequenti nevicate e abbondanti piogge. 

L’umidità e il freddo non sono il massimo per le mie ginocchia, le quali protestano vivacemente e quotidianamente con fitte continue e lancinanti. Anche la mia schiena pare non gradire troppo il clima de la Belgique. 

Gli amici di Torino mi prendono spesso in giro dicendo che son troppo vecchio per fare l’emigrante, che non ho più il fisico etc., altri scherzano sulle mie origini pedemontane: “ Ma come? Tu vieni dalla montagna, non dovresti patire il freddo!” . 

Cari simpaticoni, anche gli eschimesi nascono e abitano in luoghi freddi. Nonostante ciò, non ne ho mai visti in bikini.  

Durante questo periodo cammino molto. Strada per strada, quartiere per quartiere, negozio per negozio e pure tutti i ristoranti e i bar di Bruxelles Centro. 

“Bonjour, mi chiamo Andrea, ho 35 anni e ho lasciato l’Italia e sono qui in cerca di lavoro”. 

Sono centinaia i curricula lasciati. Commesso, lavapiatti, aiuto cuoco, cameriere. 

Sono altrettante le risposte ottenute e altrettanto varie: “Grazie, lasciaci pure il tuo CV qui!” nel migliore dei casi, oppure : “Ci dispiace, siamo al completo col personale e poi c’è la crisi!”. Le peggiori risposte sono sempre inerenti il bilinguismo: “Lei lo sa il fiammingo? Perché qua è obbligatorio sa?”, o la burocrazia: “Ha già il numero di registro nazionale?” gentilmente rispondo: “Guardi ho già avviato le pratiche e lo sto aspettando”, “Eh, ma fin che non ha il numero nazionale non può fare niente qui!”. Evviva….

La cosa più deprimente è che lavoro da quando avevo sedici anni. Alle superiori, durante le vacanze estive andavo a fare manutenzione in un’ industria cartaria delle mie parti. In vita mia, ho sempre studiato o lavorato. Non sono abituato a rimanere fermo. Odio dover farmi mantenere dai miei genitori, mi pesa più di ogni altra cosa. E’ deprimente.

Qua in centro città la situazione non si evolve e i giorni passano, non va bene. 

All’improvviso mi viene in mente una scena, a parer mio surreale, a cui assistetti da ragazzino su un treno: una signora di origini russe, dopo aver avuto una discussione telefonica parecchio animata col marito, raccontava all’amica di essere furiosa nei confronti del marito. La ragione? era di nuovo andato a lavorare in cantiere. 

Compresi che il problema stava nella differenza tra il costo delle scarpe e la paga giornaliera del marito. La signora sosteneva che il marito consumasse più scarpe di quello che avrebbe guadagnato. Avrebbe fatto meglio a restarsene a casa il marito, lei era venuta a lavorare in Italia proprio per mettere da parte dei soldi e non per comprare le scarpe da lavoro per il marito. Era nel pieno della crisi speculativa che ha colpito la Russia nel ‘98. 

Io ho camminato tanto, consumato scarpe, preso un sacco di freddo, ma concluso nulla. 

Subito penso: mi trovo un lavoro qualunque, provvisorio, per mantenermi e nel frattempo cerco altro, qualcosa che mi permetta di costruirmi una stabilità a lungo termine. 

No, non funziona. Bisogna rivedere la strategia iniziale. E’ necessario un salto di qualità. 

Il centro è saturo di gente in cerca di lavoro, bisogna andare verso la periferia. 

Ho una laurea, parlo tre lingue, conosco due mestieri, ho un sacco di esperienze lavorative in differenti settori produttivi e commerciali. 

Decido di ampliare il fronte della ricerca. 

 

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La ville de Bruxelles

La ville de Bruxelles

La prima volta che ho messo piede in questa città è stato a fine settembre 2012. 

Ho trascorso due settimane da “turista fai-da-te, no Alpitour”! 

Bruxelles è una città da scoprire, piena di angoli e facciate caratteristici, monumenti, parchi e giardini. 

Mi sono dotato di una mappa della città, sulla quale sono indicati i principali murales dei più famosi fumetti europei. Da Tintin ad Asterix (http://www.contoworld.it/easyblog/entry/le-12-fatiche-di-asterix-parte-1), passando per Lucky Luke e altri a me ignoti.

Non sapendo assolutamente nulla del luogo, mi è sembrato un ottimo punto di partenza. 

Brussel (il nome fiammingo di Bruxelles) è anche considerata la capitale europea del fumetto e ciò spiega la presenza diffusa di questa meravigliosa forma d’arte di strada. 

Ho pensato di suddividere le zone da visitare secondo uno schema a tabella a doppia entrata: mattina, pomeriggio/ quartiere, n°di cose da vedere. 

Cioè, io credevo fossero quartieri. Come ho scoperto dopo poco, Bruxelles è una piccola città che insieme ad altri diciotto comuni limitrofi forma una discreta area metropolitana. Quelli che pensavo fossero quartieri, sono comuni a sé stanti, dotati di una propria amministrazione (la “famigerata” degli articoli precedenti) e di conseguenza di un proprio Registro della Popolazione. 

Apro ora una piccola digressione: il mio professore di lettere delle superiori soleva dire che una è sempre ammessa. Con questa divisione amministrativa, se cambi casa e ti sposti anche di soli 3-4 chilometri, è facile che tu sia già in un altro comune. Comune nuovo, residenza nuova, documenti nuovi e nuova trafila per ottenerli (http://www.contoworld.it/easyblog/entry/le-12-fatiche-di-asterix-parte-2).

Fine della digressione.

Il motivo per il quale ho scelto di adottare questo tipo di strategia di suddivisione delle zone da visitare è il seguente: le facciate delle case e dei palazzi dipinte a fumetti non sono parte di un percorso turistico. I luoghi, in cui essi sono realizzati, seguono logiche artistiche e non funzionali e, a dirla tutta, non sono tutti indicati sulla cartina. Come molte altre cose del Belgio, e di Bruxelles in particolare, sono da scoprire.

Questi murales di fumetti sono proprio stupendi! Spesso riprendono elementi architettonici dell’ambiente circostante, oppure parti della stessa parete sulla quale sono disegnati. 

Una di queste meraviglie è collocata in modo tale che, camminando in direzione del murale, il palo della luce disegnato sia nascosto, fino all’ultimo momento, dal vero palo della luce nella strada.

Durante quelle due settimane, ho camminato per la città in lungo e in largo e ho scattato moltissime fotografie. Ho scoperto angoli caratteristici nei luoghi più impensati: meraviglie di Art nouveau (l’equivalente belga dello stile Liberty inglese) o di architettura fiamminga di fine ottocento incastonate in mezzo a grigi palazzi di vetro e cemento. Addirittura alcune torri di guardia della città medioevale sono strette nella morsa dei palazzi di cemento. Tutto sembra crescere in mezzo al cemento. Ovviamente è l’esatto contrario. 

Il cemento avanza inesorabile e inghiotte queste meraviglie. Interi quartieri sono stati rasi al suolo e cementificati. Ecco a voi la “brussellizzazione”: cioè la distruzione di interi quartieri per introdurre in modo forzato e casuale edifici e infrastrutture moderne. 

Nei manuali di urbanismo viene chiamatata così la speculazione sfrenata sul tessuto storico urbano.

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Le 12 fatiche di Asterix - Parte 2

Le 12 fatiche di Asterix - Parte 2

Si tratta di un flusso in costante aumento.

Io l’ho potuto verificare di persona, alla Commune… (to be continued)

 

Avendo deciso di stabilirmi qui per un po’, ho avviato le pratiche di iscrizione presso al Registro della Popolazione del comune di Bruxelles. 

La cittadinanza europea ti offre una sorta di “immunità” per tre mesi, durante i quali puoi soggiornare in un qualunque Paese dell’ Unione senza dover dichiarare o dimostrare nulla all’autorità competente...più o meno. 

Al termine di questo lasso di tempo, ogni cittadino europeo si trasforma in un cittadino straniero qualunque, che, decidendo di stanziarsi in un altro Paese, deve regolarizzare la propria posizione. 

Ricordo quella grigia e fredda mattina di gennaio, alle otto meno un quarto davanti all’imponente edificio della “Commune de Bruxelles”.

Guardandoci tristemente negli occhi, io e la mia coinquilina riproviamo quelle che pensiamo essere state le emozioni dei nostri compatrioti che sbarcarono a Ellis Island un centinaio di anni fa. 

Una grande sala del terzo piano dell’edificio della Commune di Bruxelles ci accoglie: è il Registro della Popolazione. Ci mettiamo dietro a una lunga coda di persone, in fila per prendere il numero. Lo conservo ancora. 

Gli uffici avrebbero aperto dopo un’ora e mezza, l’atmosfera si fa cupa. 

La gente continua ad affluire, sembra di assistere a una seduta dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, c’è gente da ogni dove e soprattutto, nessuno parla. 

Per un’ora buona regna il silenzio più assoluto. 

Veniamo da culture diverse, abbiamo usi e costumi differenti, eppure non facciamo che ripetere gli stessi movimenti: sguardo rapido sull’orologio digitale della sala d’attesa, sguardo al proprio numero di attesa, secondo sguardo all’orologio, incrocio di sguardi compassionevoli tra tutti quanti. 

E’ un movimento continuo. 

E’ la scintilla che fa incendiare il carburante del motore “relazioni sociali”. 

E’ quell’atmosfera di solidarietà che si manifesta ogni qual volta ci si trova tutti quanti nella medesima situazione. 

Basta una battuta. Una sola benedetta battuta per rianimare la vita nella sala. 

Invece non succede nulla, il cielo è ancora scuro, una luce grigiastra illumina i palazzoni della posta.

I finestroni della sala sono proprio di fronte, riesco a vederne gli stendardi gonfiati dal vento. Ecco, ci mancava pure il vento! Il freddo! Ok, il morale non è al massimo. 

Alle nove e trenta gli uffici finalmente aprono. Meno male. Ora non ci resta che aspettare il nostro turno. 

All’accensione dei display luminosi con il numero di attesa la sala si rianima. Quindici sportelli. La luminaria è accolta con un sentimento di sollievo dalla sala. E’ un buon segno, in genere, vuol dire che è si dovrebbe fare prima. 

No. Non funziona così, qua a Bruxelles 1000 ci sono due soli sportelli di accettazione. 

Esatto, prima si passa da uno dei due sportelli che ti destina a uno degli altri tredici restanti.

Schedati, veniamo avvertiti dal personale dell’immigrazione, più o meno gentilmente, che avremmo avuto tempo tre mesi per cercare lavoro. 

Al termine di questi tre mesi, se non l’avessimo ancora trovato, saremmo dovuti ritornare ritornare per fornire le prove della nostra ricerca attiva di un lavoro e dimostrare come ci fossimo mantenuti in quel periodo.

A questo punto, il nostro dossier sarebbe stato analizzato e, in caso positivo, ci sarebbe stato rilasciato un numero di registro nazionale provvisorio. 

No, non è tutto qui.

L’impiegato mi informa che, dall’ottenimento del numero di registro provvisorio, sarei stato sottoposto al controllo da parte dell’immigrazione per almeno sei mesi prima di ricevere la carta d’identità belga. 

Ora ho pure gli “angeli custodi”! 

Certo che noi immigrati abbiamo proprio tutte le fortune!

Per la cronaca, il numero di registro provvisorio l’ho ottenuto dopo essere tornato in quegli uffici inutilmente per cinque volte, ma la carta d’identità belga la sto ancora aspettando ora...

E’ un po’ come essere la pallina del pinball, o flipper, come meglio preferite. Si viene sballottati da un ufficio all’altro, per poi ritornare al primo ufficio in cui siete stati. Ogni volta che si risolve un pezzo dell’enigma, se ne materializza uno ancora più complesso. 

Ecco qua, il primo impatto con la “famigerata” è stato all’altezza delle aspettative. 

Avete presente il “lascia passare A-38” del film “Le dodici fatiche di Asterix”? 

Ebbene, è proprio ciò che normalmente capita quando si ha a che fare con la pubblica amministrazione belga.

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Storie di ordinario nomadismo

Storie di ordinario nomadismo

Nomade, un po' per natura e un po' per necessita', sono approdata nella terra delle patate fritte, delle cozze e della birra. Si', sono in Belgio, nel cuore di quella - piu' o meno - amata Europa. Come molti altri, giovani e meno giovani, europei cio' che mi ha portato a Bruxelles e' stato un lavoro temporaneo e, forse, la speranza che poi qua potessi trovare quello che il mio paese non puo', purtroppo, offrirmi.

Facciamo un paio di passi indietro. Mi presento: sono Raffaella, vivo - temporanemente - a Bruxelles e negli ultimi anni ho vissuto in sette citta' diverse, ho cambiato almeno quindici case, con relativi traslochi in macchina, treno, aereo e bus. La mia traiettoria di vita ha incontrato e si e' scontrata con altri nomadi, il risultato e' che ho molti amici sparsi in giro per il globo. Amici che sento, possiamo azzardare, regolarmente, ma che vedo, purtroppo, molto meno. Certo molte persone le perdi per strada, ma fa parte del gioco. Capita che molto spesso, in questa "piccolo Mondo", ci si scontri ripetutamente. Mi e' capitato di ri-incontrare vecchi amici in luoghi diversi, mi e' successo di ritrovare persone che avevo perso di vista nei posti piu' impensabili. Mi e' capitato di bere rakja con una persona a Sarajevo e, poi, anni dopo di bere birra belga con lui qua a Bruxelles. Questa e' la faccia poetica della medaglia del nomade, sono incroci di vite che arricchiscono - molto - e ti aprono gli occhi, e la mente.

C'e' pero' una parte molto meno romantica e sta nelle difficolta', che non sono poche. Essere nomadi, vuol dire anche non avere certezze, vuol dire che non saprai dove sarai, cosa farai. Se poi sei nomade, perche' un lavoro lo rincorri e' ancora peggio. Al non sapere dove andrai, segue un sentirsi sospesi in una vita dove il futuro non ha alcuna definizione. Citando Zygmunt Bauman e' il carattere "liquido" della vita contemporanea. E poi ci sono le questioni pratiche: ogni spostamento significa generalmente un trasloco, significa dover trovare una casa in un posto che non conosci, significa dover familiarizzare con posti e persone nuove. Significa dover parlare tutto il giorno una lingua che non e' la tua. Io, ad esempio, prima del caffe' mattutino, posso parlare solo italiano! L'essere nomadi e' uno sforzo che richiede ingredienti quali lo spirito di adattamento e la pazienza, e quest'ultima e' una caratteristica di cui sono difettosa. E poi devi tenere in considerazione che le forme di alcune relazioni umane, come la famiglia e i vecchi amici, assumono forme diverse.

Detto cio', torniamo a noi, sono Raffaella e vivo a Bruxelles da circa otto mesi. Sono arrivata qua per un breve lavoro e, al termine, ho deciso di restare qua. Mi piace questa citta'? Ancora non ho una risposta, sicuramente a giorni alterni. Il mio rapporto amore-odio con Bruxelles e' dovuto, credo, alla sua mancanza di un'identita' forte, sensazione che ho avuto in altre citta' nelle quali ho vissuto, come Granada, in Spagna, e Roma. L'amore e' che e' Bruxelles e' molto stimolante, culturalmente parlando.

Ah mi dimenticavo. Di me: ascolto tanta musica, soprattutto tanti Pearl Jam e Ben Harper, leggo tanti libri, soprattutto Wu Ming ultimamente, e mi piace Modigliani.

Consigli d'ascolto, per la lettura di questo post: Pearl Jam - Given to fly

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Le 12 fatiche di Asterix - Parte 1

Le 12 fatiche di Asterix - Parte 1

Quando partii dall’Italia due anni fa (Un'avventura...), detti per scontato che la ricerca di un lavoro sarebbe stata difficile. Misi in conto alcuni problemi che avrei dovuto affrontare: la lingua, l’aumento del flusso migratorio verso i paesi del nord Europa, il clima e, soprattutto, la famigerata burocrazia belga. 

Valutare i pro e i contro di una decisione così importante come quella di trasferirsi in un Paese nuovo è fondamentale. Aiuta ad arrivare preparati spiritualmente e logisticamente. Consente di risparmiare tempo e ottimizzare le risorse.

Ma come normalmente accade, tra il pensare e il fare… c’è di mezzo “e il”. 

Io sono venuto per cercare lavoro come vivaista o giardiniere. Ho un bagaglio di esperienza di tre anni nella riproduzione di rose antiche. Giardinaggio ne ho fatto parecchio. 

Il mio vecchio lavoro! Riproduzione in campo di rose antiche.

Sono giunto in Belgio consapevole di conoscere un po’ di francese, di inglese e anche la lingua di Dante. Supponevo che l’italiano non sarebbe stata la mia carta vincente e davo per scontata la necessità di ampliare le mie abilità linguistiche. Ovvio, direte voi: vai a vivere a Bruxelles, il francese lo devi sapere! Quello che normalmente sfugge, a me per esempio è successo, è l’ordinamento dello stato:  il Belgio è una monarchia federale, suddiviso in tre regioni linguistiche, di cui Bruxelles è la capitale. Tre regioni linguistiche! Tre lingue. 

L’affare si complica: c’è il francese della comunità vallona, c’è il fiammingo (l’olandese per intenderci), e pure il tedesco. Tra fiamminghi e valloni non corre assolutamente buon sangue. La comunità germanofona è confinata a ridosso del confine tedesco e dimenticata lì. 

Per aggiungere un po’ di suspense alla storia, possiamo dire che Bruxelles è densamente popolata da francofoni, ma situata in territorio fiammingo. Insomma, la capitale dell'Unione Europea è situata in una delle zone più "dis-unite" d'Europa...

Mi è capitato spesso di recarmi presso vivai gestiti da fiamminghi per consegnare i miei curriculum e di essere totalmente ignorato per essermi rivolto a loro in francese. Non parli fiammingo, non esisti!  Non sono cose che fanno piacere. Ti fanno arrabbiare. E' molto umiliante. Vengo per offrire un servizio, per mettere a disposizione le mie capacità. Non rubo niente a nessuno!

Ovviamente, non tutti i fiamminghi sono così intransigenti, anzi, i miei compagni dei vari corsi di inglese che ho frequentato sono esattamente l'opposto. Ma episodi di questo genere possono accadere e ti segnano profondamente. Ti fanno riflettere non tanto perchè vieni trattato nello stesso modo in cui troppi italiani trattano i cittadini stranieri, ma perchè se succedesse a loro si renderebbero conto che, una volta fuori dai confini nazionali, siamo tutti immigrati. 

L’aumento del flusso migratorio dai Paesi dell’area PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna), unito a quello proveniente dall’est Europa, dall’Africa e dall’Asia, si va a collocare al centro delle difficili dinamiche interne allo stato belga, e va a intensificare le tensioni tra le diverse comunità. 

Si tratta di un flusso in costante aumento.

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Un'avventura...

Un'avventura...

Il 30 dicembre 2012, un giorno che non scorderò mai. Scendo le scalette dell’aereo con passo incerto e tremolante. Sono parecchio emozionato e balbetto una sorta di ringraziamento  al personale di volo. Recupero la mia valigia, mi avvio verso l’uscita e inizia la nuova avventura!

In Belgio in cerca di lavoro, come per generazioni di connazionali prima di me, con l’entusiasmo di chi ha ancora voglia di mettersi in gioco. A Bruxelles, cuore delle Istituzioni europee, città da scoprire, da vivere, forse da amare, ci sono arrivato un po’ per caso. Una cara amica, in cerca di lavoro anche lei, mi ha offerto la possibilità di condividere un  piccolo alloggio nel centro della città.

Essendo già sera, la mia nuova coinquilina Alessia mi porta a cenare in una delle casette di legno dei mercatini di Natale. L’atmosfera è magica, ci sono le giostre, la ruota panoramica, le luci, i suoni, la gente felice che ride e scherza e c’è anche una mega pista da pattinaggio. Io mi preparo ad accostarmi alla cucina belga, non la temo, anzi sono curioso di provarla. Voglio scoprirne i sapori, le particolarità e soprattutto voglio farlo accompagnato da una buona birra belga. Le birre belghe sono rinomate, soprattutto quelle d’ abbazia, sono generalmente molto alcoliche e con un sapore molto intenso. Anche la cucina belga predilige i sapori forti. Qui non si scherza quando fa freddo, bisogna rifocillarsi per bene! La cosa non mi rincresce affatto. Sono un amante del cibo, ebbene sì, lo confesso. Decido di aprire le danze con la Carbonade alla Fiamminga, un secondo piatto a base di carne di manzo tagliato a pezzetti: una sorta di spezzatino cotto molto lentamente nella birra e arricchito con cipolle e aromi. Delizioso.

Chiesa di St. Catherine

Il freddo inizia farsi sentire, è pungente. Per riscaldarci, io e Alessia continuiamo la passeggiata in mezzo ai mercatini, ma non prima di aver preso due tazze di vin chaud. Conosciuto anche come vin brulé o Glühwein, le vin chaud è una bevanda calda a base di vino (tradizionalmente vino rosso), zucchero, scorze d’agrumi e spezie, preparata artigianalmente in pentoloni di rame e distribuita al pubblico durante le feste popolari nel periodo invernale.

Le luci di place St. Catherine, che illuminano la bellissima chiesa in stile gotico, e la bizzarra giostra che è posta al centro della piazza rendono l’atmosfera molto particolare, come se ci trovassimo in un film di Tim Burton. Di colpo rifletto su ciò che mi aspetterà l’indomani. Paure, timori, ansie, la ricerca di un sospirato lavoro. La mia amica pare accorgersene: non parlo da un po’, non ho neppure idea di quale smorfia si sia formata sul mio volto. Tirandomi per un braccio mi dice con tono deciso: “Al lavoro ci si pensa dopo Capodanno, domani è il 31”.  

Rientrando verso casa, la nuova casa, rifletto sulle parole di Alessia. E’ vero: poi, anno nuovo e una nuova avventura...

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