Per la mia generazione che ha vissuto il mito del bar sport, consumato le pagine di Stefano Benni descrivendo il tecnico da bar e smanettato con gli ultimi flipper, la ricerca di un corrispettivo egiziano condurrà ad un incontro inaspettato.
Infatti, l’ahwa o il caffè ha una sua disarmante ma attraente semplicità. Non ci sono insegne o luminarie ad attrarre gli avventori e solitamente l’ahwa è una semplice stanza, aperta sulla strada, con le pareti piastrellate fino al soffitto.
L’arredamento è limitato a pochi essenziali dettagli: le sedie di legno, piccoli tavolini circolari e l’immancabile sisha a portata di mano. Solo uomini, dall’alba a notte inoltrata, popolano lo spazio del caffè che all’occhio dello straniero sembra un mondo con codici indecifrabili.
Nessuna agitazione o discussioni animate ad eccezione dei giocatori di backgammon che vi lanceranno sguardi in cerca di consolazione. La gente sfila sui marciapiedi come dinanzi ad una giuria, calma e silente che fuma la sisha e beve lentamente un caffè.
Non essendo un fumatore, la sisha ha sempre avuto per me un aspetto sinistro.
Ma devo riconoscere che questo intruglio con aromi vari, accompagna il tempo libero aleggiando nelle vie.
Malgrado gli effetti dannosi siano incontestabili, molti amici e colleghi si abbandonano sulle sedie con infantile felicita’, aspirando ampie dosi di relax.
Chiedete il caffe’? Vi porteranno un caffè denso e pastoso speziato al cardamomo. Quanto zucchero? Al momento dell’ordinazione avrete tre opzioni: seda (senza zucchero), mazbout (medio), helou (zuccherato), poi ci penserà qualcuno ad esaudire il vostro desiderio.