Si tratta di un flusso in costante aumento.
Io l’ho potuto verificare di persona, alla Commune… (to be continued)
Avendo deciso di stabilirmi qui per un po’, ho avviato le pratiche di iscrizione presso al Registro della Popolazione del comune di Bruxelles.
La cittadinanza europea ti offre una sorta di “immunità” per tre mesi, durante i quali puoi soggiornare in un qualunque Paese dell’ Unione senza dover dichiarare o dimostrare nulla all’autorità competente...più o meno.
Al termine di questo lasso di tempo, ogni cittadino europeo si trasforma in un cittadino straniero qualunque, che, decidendo di stanziarsi in un altro Paese, deve regolarizzare la propria posizione.
Ricordo quella grigia e fredda mattina di gennaio, alle otto meno un quarto davanti all’imponente edificio della “Commune de Bruxelles”.
Guardandoci tristemente negli occhi, io e la mia coinquilina riproviamo quelle che pensiamo essere state le emozioni dei nostri compatrioti che sbarcarono a Ellis Island un centinaio di anni fa.
Una grande sala del terzo piano dell’edificio della Commune di Bruxelles ci accoglie: è il Registro della Popolazione. Ci mettiamo dietro a una lunga coda di persone, in fila per prendere il numero. Lo conservo ancora.
Gli uffici avrebbero aperto dopo un’ora e mezza, l’atmosfera si fa cupa.
La gente continua ad affluire, sembra di assistere a una seduta dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, c’è gente da ogni dove e soprattutto, nessuno parla.
Per un’ora buona regna il silenzio più assoluto.
Veniamo da culture diverse, abbiamo usi e costumi differenti, eppure non facciamo che ripetere gli stessi movimenti: sguardo rapido sull’orologio digitale della sala d’attesa, sguardo al proprio numero di attesa, secondo sguardo all’orologio, incrocio di sguardi compassionevoli tra tutti quanti.
E’ un movimento continuo.
E’ la scintilla che fa incendiare il carburante del motore “relazioni sociali”.
E’ quell’atmosfera di solidarietà che si manifesta ogni qual volta ci si trova tutti quanti nella medesima situazione.
Basta una battuta. Una sola benedetta battuta per rianimare la vita nella sala.
Invece non succede nulla, il cielo è ancora scuro, una luce grigiastra illumina i palazzoni della posta.
I finestroni della sala sono proprio di fronte, riesco a vederne gli stendardi gonfiati dal vento. Ecco, ci mancava pure il vento! Il freddo! Ok, il morale non è al massimo.
Alle nove e trenta gli uffici finalmente aprono. Meno male. Ora non ci resta che aspettare il nostro turno.
All’accensione dei display luminosi con il numero di attesa la sala si rianima. Quindici sportelli. La luminaria è accolta con un sentimento di sollievo dalla sala. E’ un buon segno, in genere, vuol dire che è si dovrebbe fare prima.
No. Non funziona così, qua a Bruxelles 1000 ci sono due soli sportelli di accettazione.
Esatto, prima si passa da uno dei due sportelli che ti destina a uno degli altri tredici restanti.
Schedati, veniamo avvertiti dal personale dell’immigrazione, più o meno gentilmente, che avremmo avuto tempo tre mesi per cercare lavoro.
Al termine di questi tre mesi, se non l’avessimo ancora trovato, saremmo dovuti ritornare ritornare per fornire le prove della nostra ricerca attiva di un lavoro e dimostrare come ci fossimo mantenuti in quel periodo.
A questo punto, il nostro dossier sarebbe stato analizzato e, in caso positivo, ci sarebbe stato rilasciato un numero di registro nazionale provvisorio.
No, non è tutto qui.
L’impiegato mi informa che, dall’ottenimento del numero di registro provvisorio, sarei stato sottoposto al controllo da parte dell’immigrazione per almeno sei mesi prima di ricevere la carta d’identità belga.
Ora ho pure gli “angeli custodi”!
Certo che noi immigrati abbiamo proprio tutte le fortune!
Per la cronaca, il numero di registro provvisorio l’ho ottenuto dopo essere tornato in quegli uffici inutilmente per cinque volte, ma la carta d’identità belga la sto ancora aspettando ora...
E’ un po’ come essere la pallina del pinball, o flipper, come meglio preferite. Si viene sballottati da un ufficio all’altro, per poi ritornare al primo ufficio in cui siete stati. Ogni volta che si risolve un pezzo dell’enigma, se ne materializza uno ancora più complesso.
Ecco qua, il primo impatto con la “famigerata” è stato all’altezza delle aspettative.
Avete presente il “lascia passare A-38” del film “Le dodici fatiche di Asterix”?
Ebbene, è proprio ciò che normalmente capita quando si ha a che fare con la pubblica amministrazione belga.