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Direzione Norte argentino

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Buenos Aires, come tutte le capitali, ha il potere di intrappolare chi ci vive. Ma un paese come l’Argentina, si ha il dovere di percorrerlo lungo tutti i suoi cinquemila chilometri. Il post di oggi è dedicato ad una delle province più remote dell’Argentina, perlopiù sconosciuta al grande pubblico europeo: oggi facciamo una piccola fuga da Buenos Aires per andare a Salta. “Salta la linda”, ovvero la bella, come è stata ribattezzata qui.

Ubicata nel Norte argentino, segna, assieme alla provincia di Jujuy, il confine con la Bolivia. Da Buenos Aires a Salta ci sono 1500 chilometri di distanza geografica, ma almeno quatto-cinque anni luce di distanza per alcuni aspetti antropologico-culturali. La frenetica e tentacolare capitale, che vive coi nervi a fior di pelle e con una mentalità costantemente proiettata all’affare mediante la furbizia, nuota in un mare di edonismo ed egoismo. Essa non pare essere la città simbolo di una nazione, ma anzi si sente sempre dire dai suoi abitanti, che “Buenos Aires non è l’Argentina”. Ed è vero: non ho mai visto una città capitale così lontana dal resto del paese.  A Salta, e nei suoi incredibili dintorni, si assiste ad un rovesciamento dei paradigmi socioculturali rispetto a Buenos Aires. L’impatto è in primis ovviamente visivo. Il suo profilo urbano disegnato da case e chiese di stile coloniale, dà testimonianza della sua importanza come centro urbano già dal 1582, quando ancora Buenos Aires non era la città più importante del futuro paese. Salta era il collegamento fra la parte più ricca del Vicereame spagnolo con sede in Perù e l’altro lato dell’oceano. E’ la città argentina più bella da un punto di vista estetico proprio perché è questo carattere ispanico che la differenzia da tutte le altre. Il suo clima è dolce, tiepido d’inverno e caldo ma secco d’estate, garantisce la possibilità di visitarla durante le quattro stagioni.

Ma le ragioni della sua peculiarità passano dalla tavola. Qui nascono le famose empanadas, ovvero dei panzerotti ripiene di qualsiasi cosa si voglia, qui si mangia il locro, una zuppa di mais bianco arricchita con carne e verdure, una vera prelibatezza che gli argentini sono soliti mangiare nelle ricorrenze festive. Inoltre, al posto della mucca pampeana, qui le carni  più caratteristiche sono il capretto ed il lama. Pure il vino, cambia le sue caratteristiche. Il Malbec argentino di Mendoza cede il posto al Torrontes de Cafayate, un vino bianco aromatico figlio di questo clima secco e caldissimo. Siamo così agli antipodi dello stereotipo nazionale argentino che abbiamo in mente noi europei, che persino il ballo è distinto. Non più tango ballato nelle milongas ,ma il folklore ballato nelle peñas: zamba, chacarera, gato e carnevalito sono i balli tipici di queste regioni del Norte. Musiche più gioiose e coinvolgenti, rispetto agli struggenti tango rioplatensi.

Insomma, se passate di qui, Salta è davvero una tappa obbligata, poi perdetevi nelle sue valli che la attorniano: le millenarie montagne colorate… una meraviglia per gli occhi e per il cuore.     

 

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Santa Maria del Buen Aire

Santa Maria del Buen Aire

IL TANGO ED I SUOI PASSI

Assistere ad una serata di tango qui a Buenos Aires, è una cosa magnifica. Qui, il ballo nazionale, va in scena nella milonga, l’equivalente della nostra balera. C’è ne sono per tutti i gusti: c’è la milonga di tendenza frequentata dai giovani; quella infrasettimanale, con corsi per aspiranti ballerini; quella con l’orchestra dal vivo, che attira un pubblico variegato; quella turistica, con i maestri  che dirigono yankees rigidi come cowboy, e c’è, infine, quella nascosta, fuori mano: quella che i veri tangueros dicono essere la più autentica. Un poco di senso estetico, animo romantico e attrazione per il demodè, ed è fatta: sei già irrimediabilmente affascinato. Lo stile, l’eleganza ed il fascino  delle tangueras argentine, in tutto ciò, ha un peso tutt’altro che irrilevante. Lo stesso, suppongo, si potrebbe dire per la controparte maschile. Come non provare a cimentarsi. E così fu. Quella sera alla Catedral de Tango, il gruppo degli aspiranti era ben nutrito e dopo la spiegazione teorica dei maestri, si passava alla pratica. Ci illustrano la “figura dell’otto”, il passo base: non sembra troppo difficile. E non lo è. Ma il tango, come l’argentino, è abbastanza machista. L’uomo invita la donna, l’abbraccia in modo sicuro ma caldo, conduce la danza suggerendole il passo, sente il ritmo cadenzato del violino e del bandoneon e d’istinto cambia direzione, infine, come se non bastasse, deve far attenzione agli altri danzatori in pista. Replay.

Per prima cosa bisogna scegliere la ballerina. Avevo cercato di incrociare il suo sguardo durante la spiegazione del maestro e mi aveva fatto un mezzo sorriso, o così mi era sembrato. Al momento di fare le coppie, mi sono lanciato e l’ho invitata a ballare. Si chiamava Malena: carina, aria simpatica, sulla trentina come me.Ha accettato. Partita la musica, ho cercato di essere sciolto e rilassato e di ricordarmi i passi indicati dal maestro. Un tango dura 3 minuti circa. Le avrò pestato i piedi 5-6 volte. Piuttosto imbarazzato le dicevo continuamente: “Perdon!”. Alla fine della musica ha guardato il maestro e ha fatto un cenno con la mano, come fosse l’allenatore di una squadra di calcio. “Possiamo cambiare compagno?” ha chiesto. Mi sarei sotterrato. “E’ normale, per un uomo ci vogliono mesi e mesi di pratica”, mi ha detto come per consolarmi. Preso dallo sconforto sono andato al bar e non ho più avuto il coraggio di risalire in pista. Con il tango ho capito fin da subito che non avrei mai avuto speranza. E’ svanito così, sorseggiando al bancone un bicchiere di pessimo whisky locale, l’idea romantica del tanguero seductor. Continuo ad andare alla milonga, ma per i concerti, non a passo di tango, ma seduto vicino alla pista, ad un passo... dal tango.

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