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Cittadini nel mondo, le esperienze di chi si trova all'estero per studio, lavoro e svago.

Il lato oscuro del calcio argentino

Dopo aver parlato del lato esaltante del futbol argentino, per dovere di cronaca anche del lato oscuro. Della lista di attributi e sostantivi affibiati nel post precedente al calcio, ne mancano due, i più inquietanti: terrore e malaffare. Già, c’è anche questo. E i politici lo sanno bene. E pure la polizia. Il problema più visibile si chiama barrrabrava, i nostri ultras, ma più violenti, e pure di molto. 301 vittime dal 1922 ad oggi. A quanto riporta la ong Salvemos al Futbol, dal 16 dicembre ad oggi sono morti già morte tre persone. La causa è la stessa: scontri fra fazioni della stessa squadra. L’ipotesi di omicidi derivanti da scontri a fuoco, risse o coltellate fra bande di tifosi avversari potrebbe anche essere un qualcosa di comprensibile, in questo mondo regolato da leggi d’onore e dimostrazioni di forza. Difficile capire quando queste persone, solitamente appartenenti agli strati più deboli della società, si scontrano, e sovente si ammazzano, fra di loro. La risposta sta nei traffici milionari della barra. Ci sono fazioni interne, e quella predominante si prende la fetta di torta più grossa. La gestione dei posteggi fuori dallo stadio, il bagarinaggio dei biglietti di ingresso rivenduti anche in dollari, il narcotraffico e lo sfruttamento della prostituzione: questi sono le attività illecite milionarie che spingono questi gangster, per nulla interessati al calcio, ma attratti dai soldi che ci girano attorno.  Il loro potere è smisurato, le televisioni intervistano questi personaggi con fedine penali chilometriche, i tifosi chiedono loro autografi come fossero calciatori, ma soprattutto, la politica sta con loro.

La ragione di questo permissivismo è analoga a quella che recentemente Massimo Carminati, il boss di Mafia Capitale, con la sua metafora del “mondo di mezzo”, ha spiegato a tutta Italia. Ci sono affari in cui i politici, imprenditori, sindacalisti non possono immischiarsi, perché si sporcherebbero le mani, allora le fanno sporcare a chi le ha già sporche, magari pure di sangue.  

Javier Cantero, presidente del club Indipendiente, ha deciso di porre fine a ricatti, denunciando pubblicamente il capo della tifoseria, isolandoli e puntando ad allontanarli dallo stadio. Constatato il fallimento di questa iniziativa, Cantero ha spiegato in un’intervista rilasciata a Pangea News, una rivista web italiana operante in Argentina,  che “la più pericolosa arma in mano ad un barra brava è la rubrica del suo cellulare, con i numeri dei politici: ogni volta che viene preso, li chiama e si fa rilasciare.

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La passione del futbol argentino

Passione e follia, coreografie e folklore, terrore e malaffare, gioia ed emozione. Non voglio raccontarvi la trama di un film, ma parliamo di stadi. Forse gli stadi di calcio più pazzi del mondo, dove tutti gli elementi citati poc’anzi rappresentano gli ingredienti di una magia che da un secolo risplende sul Rio de la Plata: el futbol argentino.

I nomi dei suoi due interpreti più illustri sono noti, anche a coloro che nutrono un disinteresse totale per il calcio: Maradona e Messi sono simboli globali che l’Argentina vanta, oltre Evita, il papa ed il Che.    

Ma andiamo per ordine, analizzando i vari elementi a due a due. Passione e follia: perché in Argentina il calcio è più che uno sport. Gli incontri della nazionale a Brasile 2014 sono stati seguiti da circa 20 milioni di spettatori, su 40 milioni di abitanti! Anche la fornaia del mio quartiere, una donna composta e aggraziata sulla cinquantina indossava nel periodo dei Mondiali brasiliani la maglia della Seleccìon. Il calcio monopolizza i discorsi ai bar, fra gli studenti maschi, fra i vecchi al bar, sui social network e persino fra le chiacchiere dei senza tetto: è ovunque, molto più che in Italia. E’ follia demenziale, se pensiamo che tre anni fa quando il River Plate retrocesse in serie B, la zona nord della città fu messa a ferro e fuoco. Follia d’amore se c’è gente che quando muore si vuol far cremare e spandere le ceneri nello stadio del Boca Juniors, o gente che fa le foto della carta d’identità con la maglia del club, perché è appunto per loro un segno identitario.

E’ coreografia e folklore, perché si vedono gli stadi argentini tremare per i salti dei tifosi festanti, i “Nooooo!!!” che manco ci fosse stato un omicidio che esce dalle finestre delle case al goal sbagliato, ho visto una bandiera del River Plate che misura 7 kilometri e 830 metri portata dai tifosi allo stadio, tamburi che vibrano incessanti e canti di supporto per tutti i 90 minuti. Per finire, come non impazzire per i rotoli di carta igienica tirati in campo…


Siamo arrivati alla fine, se non altro del capitolo del lato gioioso del futbol: divertimento ed emozione. Queste sono state le sensazioni nell’avere vissuto la tanto attesa Coppa del Mondo di Brasile 2014. Confesso che all’inizio l’idea di seguire l’ennesimo mondiale lontano dall’Italia mi pesava un po’, ma visto l’esito, direi che mai coincidenza fu più fortunata. Il clima di festa costante durato quasi un mese penso sia impossibile da rivivere altrove, perché in nessun altro posto si vive il calcio come lo si vive qua. Sospinti dai successi di una buona squadra, di certo più tenace e fortunata che spettacolare, gli argentini e noi stranieri abbiamo approfittato della “flessibilità” lavorativa sudamericana quando gioca la nazionale e ne abbiamo approfittato mangiando e bevendo abbondantemente ad ogni partita. Per quanto mi riguarda, la cosa che mi rimarrà più impressa sarà il grido che ho ascoltato levarsi dalle case della gente al goal di Messi all’ultimo minuto. Ed ovviamente, seguire in diretta la telecronaca dei giornalisti meno professionali al mondo…ascoltate anche voi.

Il telecronista:


La gente:

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Rock argentino, ritmo inglese, anima italiana: Sumo

Rock argentino, ritmo inglese, anima italiana: Sumo

Dopo il post d’obbligo sul tango, la digressione sulla musica in Argentina non può dirsi certo conclusa. Non prima di aver parlato di un ragazzo romano capace di rivoluzionare il rock argentino, un nome sconosciuto in Italia, ma che a Buenos Aires ha l’aura del mito: questo ragazzo si chiamava di Luca Prodan.

La sua biografia, per quanto breve, è di un’intensità incredibile, come si addice alle rock star. Nato a Roma nel 1953, figlio di un antiquario sinologo italiano e di una ricca scozzese, aveva studiato in Inghilterra, frequentando le scuole dell’aristocrazia inglese, manifestando fin da ragazzo un'indole ribelle. Scappato dal college dorato, Luca cominciò a vivere a Londra, vendendo dischi nel negozio della Virgin a Portobello Road, che sul finire dei ’70 era uno dei quartieri di riferimento dei musicisti e degli artisti, in quella che era la capitale mondiale dell’innovazione.

Ma si sa, quando il terreno è fertile per lo stravolgimento dei canoni estetico-musicali, l’adrenalina è tanta, ed oltre al genio, fa la sua comparsa anche il vizio. In quegli anni dei buchi facili, Luca ci era finito dentro in pieno. L’Argentina fu la sua salvezza. Un paese fuori delle rotte del narcotraffico, unico rifugio possibile, nonostante la dittatura militare e i desaparecidos.



Atterrato in Argentina nel 1981 con la pelle gialla e gli occhi gonfi, Luca ha però dentro di sé la voglia di dimostrare al mondo, e soprattutto alla sua famiglia, che lui è un tipo che vale. Da questa seconda vita nasceranno i Sumo: il gruppo che risvegliò lo spirito di libertà in un paese devastato. In tempi di stagnazione culturale, i Sumo sono come un ciclone che travolge la monotonia di un ambiente chiuso da troppe proibizioni, come quella di passare musica in lingua inglese alla radio. Il mix di punk, ska-reggae e new-wave di Prodan veniva dritto da Londra, era cantato in inglese o in spagnolo, ma già segnava un punto di non ritorno per la storia del rock argentino. Il loro successo fu incredibile. Luca era l’istrionico leader di una band che riempiva gli stadi, era un icona, un soggetto quasi futuristico, venuta dallo spazio che con la sua musica mai banale e ricca di tutte le contaminazioni musicali degli anni ’80 trascinavano una generazione intera, desiderosa di respirare aria nuova.  

Ma il genio, si sa viene spesso accompagnato dall’eccesso, e Luca Prodan ce lo aveva scritto nel dna. Se leggiamo i suoi testi, si possono ritrovare i tormenti. Li ha voluti cantare, portandoli sul palco. Pochi giorni dopo l'ultimo concerto, a causa di una cirrosi epatica, dopo 6 anni dal suo arrivo in Argentina, morì il 22 dicembre del 1987. 

Buenos Aires è tuttora disseminata di targhe, scritte dedicate a lui, ed il suo nome è indissolubilmente legato alla musica argentina. A più di venti anni dalla sua morte, i fans vanno a trovarlo e lasciano magari qualche fiore o bottiglia del suo gin preferito. L’ultimo tassello che mancava al puzzle per farlo diventare l’incarnazione del Jim Morrison australe. 

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Sovrannaturale potenza della natura

Sovrannaturale potenza della natura

Continuando il viaggio verso le remote provincias argentine meno note ai più, oggi vorrei raccontarvi il viaggio a Misiones. Collocata nella zona della Triple Frontera fra Argentina, Paraguay e Brasile, questa regione è caratterizzata da un caldo clima subtropicale, bagnato da abbondanti precipitazioni che alimentano la meravigliosa selva che occupa gran parte della regione. Quest’angolo povero e periferico d’Argentina, che vive di agricoltura ed allevamento, ospita una delle sette meraviglie naturali della Terra: le maestose cascate di Iguazù.

Essendo italiano, in tutta onestà, non ho mai trovato in Argentina, niente che fosse almeno paragonabile all’incanto delle nostre città, ma da un punto di vista naturale, questo paese è qualcosa di straordinario. La particolarità di essere collocato a latitudini così diverse e, di conseguenza, la varietà climatica che ne deriva, sono elementi ai quali noi siamo abituati, ma ciò che differenzia l’Italia dall’Argentina, è la vastità, l’immensità della natura. Ad Iguazù non si ammira una cascata, ad Iguazù ci si scontra con un complesso di cascate, il cui volume d’acqua ha una portata talmente gigantesca da sentirne un urlo impressionante. Si rimane quasi intimoriti davanti a tanta potenza. Personalmente ho provato quasi un sensazione di brivido, come di una forza talmente superiore all’uomo che ti vien voglia di lasciarti andare e farti travolgere da quella valanga d’acqua. La guida, infatti, mi ha raccontato che, seppur non vengano resi noti i dati, sono numerose le persone che cedono al fascino di tuffarsi nelle acque del Rio Iguazù in coincidenza della confluenza di varie cascate in una gola della vallata: la Garganta del Diablo. Visti gli 80 metri di dislivello, nessuno ha mai potuto raccontare come è stata la sensazione del viaggio.

Note macabre a parte, le cascate sono inserite in un meraviglioso parco naturale, e seppur la Gola del Diavolo, ne rappresenti il punto di maggior effetto scenico, anche i vari percorsi all’interno della giungla sono fantastici. Vi sono vari animali per noi piuttosto strani, come i coatì, un mammifero innocuo che vive a contatto con i turisti, ai quali al massimo, può rubare i panini se vengono lasciati incustoditi. Ci sono variopinti tucani e sonnolenti yacarè, un coccodrillo tipico della zona. Per non parlare della flora e della vegetazione in generale, basti pensare che è la zona con la maggior biodiversità di tutta l’Argentina.

 Dall’altro lato del fiume, c’è il lato brasiliano, anch’esso molto suggestivo, ma più per una visione d’insieme di questa strepitosa fotografia, in quanto non vi si possono fare escursioni così vicine alle cascate come dal lato argentino. Da pochi anni poi, nelle notti di luna piena sono organizzate escursioni particolari, per chi decide di vivere un’esperienza unica, illuminati soltanto dalla luce della luna e delle stelle.    

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Direzione Norte argentino

Direzione Norte argentino

Buenos Aires, come tutte le capitali, ha il potere di intrappolare chi ci vive. Ma un paese come l’Argentina, si ha il dovere di percorrerlo lungo tutti i suoi cinquemila chilometri. Il post di oggi è dedicato ad una delle province più remote dell’Argentina, perlopiù sconosciuta al grande pubblico europeo: oggi facciamo una piccola fuga da Buenos Aires per andare a Salta. “Salta la linda”, ovvero la bella, come è stata ribattezzata qui.

Ubicata nel Norte argentino, segna, assieme alla provincia di Jujuy, il confine con la Bolivia. Da Buenos Aires a Salta ci sono 1500 chilometri di distanza geografica, ma almeno quatto-cinque anni luce di distanza per alcuni aspetti antropologico-culturali. La frenetica e tentacolare capitale, che vive coi nervi a fior di pelle e con una mentalità costantemente proiettata all’affare mediante la furbizia, nuota in un mare di edonismo ed egoismo. Essa non pare essere la città simbolo di una nazione, ma anzi si sente sempre dire dai suoi abitanti, che “Buenos Aires non è l’Argentina”. Ed è vero: non ho mai visto una città capitale così lontana dal resto del paese.  A Salta, e nei suoi incredibili dintorni, si assiste ad un rovesciamento dei paradigmi socioculturali rispetto a Buenos Aires. L’impatto è in primis ovviamente visivo. Il suo profilo urbano disegnato da case e chiese di stile coloniale, dà testimonianza della sua importanza come centro urbano già dal 1582, quando ancora Buenos Aires non era la città più importante del futuro paese. Salta era il collegamento fra la parte più ricca del Vicereame spagnolo con sede in Perù e l’altro lato dell’oceano. E’ la città argentina più bella da un punto di vista estetico proprio perché è questo carattere ispanico che la differenzia da tutte le altre. Il suo clima è dolce, tiepido d’inverno e caldo ma secco d’estate, garantisce la possibilità di visitarla durante le quattro stagioni.

Ma le ragioni della sua peculiarità passano dalla tavola. Qui nascono le famose empanadas, ovvero dei panzerotti ripiene di qualsiasi cosa si voglia, qui si mangia il locro, una zuppa di mais bianco arricchita con carne e verdure, una vera prelibatezza che gli argentini sono soliti mangiare nelle ricorrenze festive. Inoltre, al posto della mucca pampeana, qui le carni  più caratteristiche sono il capretto ed il lama. Pure il vino, cambia le sue caratteristiche. Il Malbec argentino di Mendoza cede il posto al Torrontes de Cafayate, un vino bianco aromatico figlio di questo clima secco e caldissimo. Siamo così agli antipodi dello stereotipo nazionale argentino che abbiamo in mente noi europei, che persino il ballo è distinto. Non più tango ballato nelle milongas ,ma il folklore ballato nelle peñas: zamba, chacarera, gato e carnevalito sono i balli tipici di queste regioni del Norte. Musiche più gioiose e coinvolgenti, rispetto agli struggenti tango rioplatensi.

Insomma, se passate di qui, Salta è davvero una tappa obbligata, poi perdetevi nelle sue valli che la attorniano: le millenarie montagne colorate… una meraviglia per gli occhi e per il cuore.     

 

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Pizzicati d'oltreoceano

Pizzicati d'oltreoceano

Continuando a seguire il vistoso solco lasciato dall’italianità a Buenos Aires, nel post di oggi voglio raccontarvi una delle maniere in cui il lascito e le rappresentazioni culturali di coloro che qui arrivarono dal Belpaese, tutt’oggi viene reinterpretato e sopravvive. Se tutti sanno che il ballo nazionale da queste parti è il tango, la musica tradizionale argentina vanta comuque molti altri tipi di danza, soprattutto quelli della zona nord del paese. Ma ve ne pure uno nostrano, la tarantela, che indica chiaramente quale sia stata la zona d’Italia che il maggior numero di emigranti ha donato a questo paese.

Ballata nelle feste patronali, nelle manifestazioni celebrative dedicate alla comunità italiana, nelle feste private fra le persone più attempate, che magari hanno imparato dai genitori o dai nonni i passi, la sua riproposizione argentina è assai più semplice e quasi caricaturale di quell’universo ricchissimo che sono le danze popolari del Sud Italia. Ma per gli argentini che volessero realmente conoscere la vera tradizione della musica popolare del Sud Italia, il gruppo ‘A Figliola rappresenta la risposta.

Pochi giorni fa ho avuto l’opportunità di essere invitato ad un loro concerto, nella fastosa cornice del Circolo Italiano, un elegantissimo palazzo situato nel quartiere di Recoleta. Questo gruppo di artisti argentini, molti dei quali, immancabilmente, discendenti di famiglia italiana, hanno dato vita ad uno spettacolo meraviglioso, percorrendo dalla Sicilia al Lazio un vastissimo repertorio di balli, canti e musiche del nostro Sud. Diretti sul palco dalla poliedrica Cecilia Arenillas: musicisita, cantante e soprattutto danzatrice. Il gruppo conta con la bellissima voce della cantante Paula Frondizi, accompagnata dalla versatilità del polistrumentista Federico Salesi, che durate l’esibizione si è alternato in un continuo cambio di strumenti che vanno dalla chitarra battente, al sisco, passando per la ciarameddha e finendo con la fisarmonica. Poi vi sono i tamburelli e le tamorre, il cuore pulsante di questi ritmi, che sono suonati da Gabriele Campanino, Noelia Eterovic, Cristina Pangrazzi e Sergio del Popolo, i quali si alternano fra le sfrenate danze ed i viscerali suoni che scandiscono il misticismo o l’allegrezza che viene da queste balli contadini, che hanno fatto sfogare, innamorare, curare o solamente gioire tutte le persone che, da ormai svariati secoli, si sono lasciate trasportare dalla magia di questi suoni. Pizzica salentina, saltarello laziale, spallata abruzzese, tammurriata campana, tarantella calabrese e friscalettata siciliana sono stati i generi  ballati in questa serata, in cui il pubblico è stato coinvolto, nella parte finale, condividendo il palco con gli artisti. Io, devo ammettere, seppur italiano, conoscevo solo un minima parte della ricchezza culturale che i componenti del gruppo ‘A Figliola hanno portato in scena. Nel frattempo, però, ho incominciato ad indagare...fino al prossimo spettacolo. 

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Tracce d'Italia

Tracce d'Italia

Tracce d’Italia

Dopo la disquisizione d’obbligo sull’encomio delle carni argentine, vorrei aprire in questo spazio un argomento altrettanto caratteristico, l’elemento che porta l’Argentina a distinguersi rispetto ad altri paesi sudamericani. Parlo dell’evidente influenza dell’immigrazione italiana, che dalla seconda metà dell’800 al 1950 ha popolato e plasmato un paese che tutt’oggi ha una sua identità così meticcia da non poter essere considerata univoca, ma che allo stesso tempo, conserva tracce inequivocabili d’Italia da qualsiasi angolatura la si guardi.  

Incominciamo quindi, ad esplorare questa italianità trapiantata, permeata ed inevitabilmente reinterpretata dall’altro parte del mondo. L’aspetto più evidente sono ovviamente i cognomi. Il computo esatto, in casi come questo è assai approssimativo, ma di certo ci sono almeno 2 milioni di persone che nel secolo della grande emigrazione ha deciso di attraversare l’oceano alla ricerca di miglior fortuna. Provate a pensare ad alcuni argentini famosi: Messi, Piazzola, Peron, Fangio, Ginobili, , Bergoglio e la lista potrebbe continuare all’infinito...

Dall’anagrafe passiamo alla tavola: pizza,focaccia, gelato,tiramisù, pesto, ravioli, gnocchi, bagnacauda e, il piatto nazionale dopo l’asado: la cotoletta alla milanese. E se la rivisitazione argentina della cucina italiana, è più scadente a livello di qualità, e più “sozza” in quanto a pesantezza, anche qui il problema è facilmente risolto. Cynar, Amaro Strega, Cinzano, Gancia e soprattutto ( come diceva un vecchio adagio pubblicitario) Fernet Branca. Portate nelle valigie degli ultimi immigrati, queste bevande, che in Italia ormai sono considerate poco attraenti dalle generazioni più giovani, qui hanno piantato radice e scandiscono i brindisi dei cugini d’oltreoceano. Anzi, il Fernet Branca, allungato con coca-cola, ghiaccio e limone è, in quest’ultimo decennio post-crisi, la bevanda nazionale. Quanto mai versatile perchè si beve sia come aperitivo, sia  come cocktail, svolge le funzioni del nostro spritz, tanto quanto quelle del Cubalibre.

Un altro aspetto della contaminazione riguarda la lingua. Lo spagnolo rioplatense è una varietà piuttosto sul generis rispetto al castigliano di Spagna che siamo abituati ad ascoltare, essendo meno marcato nelle sue sillabe e nei suoi dittonghi più gutturali e sibilati. A detta di molti, più simile alla nostra lingua per quanto attiene alla cadenza. Ma non solo l’intonazione ha subito l’influsso della lingua italiana, anche il lessico si avvale di moltissimi prestiti, seppur siano perlopiù derivanti dai nostri dialetti, che non dalla lingua di Dante. Laburo, capo, fiaca, malandrin, facha tosta, gamba, atenti, guarda sono solo le parole che assomigliano ancora all’italiano contemporaneo. Ve ne sono centinaia che derivano dal piemontese, genovese, napoletano che, al mio orecchio, suonano sconosciute.

In conclusione, bisogna riconoscere che la battuta sarcastica del poeta messicano Octavio Paz, non era del tutto fuori luogo: “gli argentini sono italliani che parlano spagnolo e si sentono francesi”.

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Il rito dell'asado/2. La versione dell'emigrante

Il rito dell'asado/2. La versione dell'emigrante

Il RITO DELL’ASADO – CAPITOLO SECONDO. La versione dell'emigrante.

Dove eravamo rimasti? Nel primo post avevo descritto la presentazione dell’asado nella sua socialità. Ora invece, vorrei condividere la parte più tecnica: quel percorso che va dalla macelleria al divano, destinazione finale di ogni asado ben riuscito.

Partiamo dall’elemento essenziale di questo rituale: la carne. Si sa, la pampa argentina, da sempre fornisce le migliori condizioni affinchè i bovini crescano pasciuti e sani, e di conseguenza, le sue carni sono deliziose, tanto da essere il secondo prodotto più esportato dopo la soia. Ma come in tutte le cose, ed in tutto il mondo, si può trovare la buona e la cattiva qualità nella merce che acquisti: è essenziale dunque trovare il macellaio di fiducia. Senza questo elemento, qualsiasi asador - anche per il più bravo – farebbe una figuraccia davanti agli ospiti, e vi assicuro che qui la cosa è presa piuttosto sul serio...

Io ho avuto la fortuna di trovar casa vicino alla macelleria Sol 19. Minuscolo locale con una perenne fila di clienti sul marciapiede in attesa di essere serviti da Martin e suo padre Carlos. Vedendomi assai spaesato nel momento di fare l’ordinazione, nonostante tentassi di mostrarmi un conoisseur per evitare la fregatura tipica che qui si rifila agli sprovveduti, i due signori mi hanno di settimana in settimana illustrato i vari tagli di carne e la maniera migliore per prepararli.

Ib2ap3_thumbnail_asado-casalingo-del-principiante.JPG tagli di carne da cuocere alla gliglia sono tantissimi, e di certo non si possono elencare tutti. Io mi limiterò a descrivervi la formazione base degli asados che sono solito preparare. Si inizia con l’apripista, il chorizo: ossia, la salsiccia. Qui è in genere mista: metà carne bovina, metà di maiale, in modo da avere le giuste quantità di grasso.  Poi vi sono alcune prelibatezze che appartengono alla categoria achuras: interiora e affini. Per me il massimo è la molleja, la ghiandola del collo, servita ben croccante. Poi viene il momento di mangiare sul serio, e si cominciano a servire i pezzi più grandi, cotti interi e tagliati a fette una volta pronti.

Ci sono i tagli più veloci nel cuocersi come il matambre, tecnicamente, l’ammazzafame. A me cere per personalmente, piace da impazzire quando è di carne di maiale. Il nome buffo deriva dal fatto che il gaucho della Pampa fosse solito tagliare questo pezzo esterno e sottile dell’animale per mangiare un antipasto in attesa che i restanti pezzi si terminassero di cuocere. Da un lato è grasso, mentre l’altro è di pura carne. Come pezzo principale la tapa de nalga è il pezzo che preferisco, corrisponde alla natica della vacca. Saporitissima e, se lasciata un pò sugosa, ossia con un pò di rosso ancora all’interno, è una delizia. Qui, però, le rogini emiliane e di campagna mi tradiscono. Cresciuto a salame ferrarese e prosciutto, ammetto di essere un fedele della religione porcofila: così alla mia tavola raramente manca un carrè de cerdo, ovvero il filetto di maiale, che cotto alla griglia non ne ha uno di suoi perchè, ma tanti.

Chiudo qui la mia disquisizione elementare sull’asado dell’emigrante, ed essendo sabato, scendo a vedere quali carni scegliere per il pranzo di domani.

 

 

  

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Il rito dell'Asado: introduzione al culto domenicale argentino

Il rito dell'Asado: introduzione al culto domenicale argentino

b2ap3_thumbnail_Modesto-asado-in-casa-mia.JPGDomenica: in un paese come l’Argentina, significa famiglia. Anche in Italia succede ancora , seppur l’infinito pranzo domenicale con la famiglia allargata si verifichi soprattutto nelle zone rurali, o nelle famiglie un più tradizionaliste. Qui invece l’asado, ovvero la grigliata di carne, è pressoche un’equazione matematica. Ci si ritrova a casa dei genitori o di un qualche membro della famiglia per consumare quello che da queste parti è uno dei riti fondanti della nazione.

Noi espatriati, non avendo famiglia argentina, ritroviamo il calore familiare in altri espatriati o negli amici più stretti. Se, nel precedente post, vi avevo raccontato la mia negativa esperienza come tanguero, debbo ammettere, a scapito della mia linea e dello charme, che ho avuto molto più successo con la parrilla, ovvero la griglia: il tempio pagano di ogni casa argentina.

L’asado domenicale, seppur preparato da un non nativo, per rispetto della cultura locale segue l’ortodossia. La convocatoria dei commensali avviene circa due ore prima di addentare le carni. Il salmo prevede che l’asador, colui che cuoce la carne, debba godere di buona compagnia e di vari brindisi nell’officio delle sue funzioni. Qui, solitamente, la mascolinità del rituale emerge piuttosto chiaramente, in quanto si assiste ad una certa suddivisione di funzioni che va di pari passo con l’appartenenza di genere. Mentre gli uomini si radunano attorno al fuoco, sbevazzando allegramente nella terraza o nel patio della casa, le loro compagne si intrattengono all’interno, sbevazzando altrettanto allegramente, ma preparando tutto ciò che non sia di origine animale: verdure, contorni, dolci e frutta. Nel frattempo allestiscono la zona dove il sacrificio animale si compirà: la luculliana pantagruelica tavola. Nei prossimi post, se avete trovato questa introduzione al rito pagano dell’asado di vostro interesse, seguiranno informazioni più dettagliate circa questa cerimonia.

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Il delta del Tigre

Il delta del Tigre

QUE SE SIENTE?

24 novembre, lunedì. Anzichè iniziare imprecando una nuova settimana di lavoro, la Repubblica Argentina commemora il Giorno della Sovranità Nazionale. Pochi sono i cittadini che conoscono la ricorrenza da festeggiare, in molti però ringraziano e, fin dal venerdì, ne approfittano per trascorrere l’ennesimo ponte regalato dal governo per incentivare il turismo interno. Come tutti gli argentini, mi sembrava oppurtuno dare il mio contributo alla sofferente economia nazionale e uscire dai tentacoli di Buenos Aires, per tuffarmi, è proprio il caso di dire, nel meraviglioso delta dell’immenso Rio Paranà.  Alcuni chilometri prima della foce di questo lunghissimo fiume, che sbocca nel noto Rio de La Plata, si diramano in un’infinità di piccoli canali ed arterie minori che dividono migliaia di piccoli appezzamenti di terra, o isole, come qui vengono chiamate. Su queste isole, ormai da anni, vivono il più disparato genere di gente: persone in fuga dalla caotica capitale, amanti del silenzio, amanti dei rumori della natura, hippies ( o così almeno li definiscono i locali!), classi popolari in fuga dai prezzi esorbitanti della città e soprattutto, il regno della seconda casa per migliaia di portenos ( gli abitanti di Buenos Aires) che durante la bella stagione abbandonano la città in cerca di pace.  Almeno nel tratto più vicino alla città di Tigre è tutto un susseguirsi di case piccole, molto belle con giardini curatissimi con il proprio molo privato, dal quale famigliole felici salutano i turisti del Delta che come me hanno affittato una cabana (a metà fra una casetta ed una palafitta) per il fine settimana. E’ incredibile come dal caos di Buenos Aires in 30 minuti si possa giungere in questo micromondo fluviale, lento, silenzioso e dominato da una natura rigogliosa. Per tre giorni sono stato coccolato dalle premure delle meravigliose sorelle Vitale, Norma e Monica, nel loro bellissimo rifugio chiamato: “Que se siente?”. Sdraiati sul prato leggendo un libro, affacciati sul piccolo molo guardando i motoscafi e le canoe passare, ascoltando le storie di Hugo, cantando folklore argentino in una tavolata da 15 persone, mangiando memorabili grigliate di carne e facendo qualche bagno nel limaccioso fiume, il fine settimana è trascorso alla grande. E martedì si torna a lavorare!   

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Santa Maria del Buen Aire

Santa Maria del Buen Aire

IL TANGO ED I SUOI PASSI

Assistere ad una serata di tango qui a Buenos Aires, è una cosa magnifica. Qui, il ballo nazionale, va in scena nella milonga, l’equivalente della nostra balera. C’è ne sono per tutti i gusti: c’è la milonga di tendenza frequentata dai giovani; quella infrasettimanale, con corsi per aspiranti ballerini; quella con l’orchestra dal vivo, che attira un pubblico variegato; quella turistica, con i maestri  che dirigono yankees rigidi come cowboy, e c’è, infine, quella nascosta, fuori mano: quella che i veri tangueros dicono essere la più autentica. Un poco di senso estetico, animo romantico e attrazione per il demodè, ed è fatta: sei già irrimediabilmente affascinato. Lo stile, l’eleganza ed il fascino  delle tangueras argentine, in tutto ciò, ha un peso tutt’altro che irrilevante. Lo stesso, suppongo, si potrebbe dire per la controparte maschile. Come non provare a cimentarsi. E così fu. Quella sera alla Catedral de Tango, il gruppo degli aspiranti era ben nutrito e dopo la spiegazione teorica dei maestri, si passava alla pratica. Ci illustrano la “figura dell’otto”, il passo base: non sembra troppo difficile. E non lo è. Ma il tango, come l’argentino, è abbastanza machista. L’uomo invita la donna, l’abbraccia in modo sicuro ma caldo, conduce la danza suggerendole il passo, sente il ritmo cadenzato del violino e del bandoneon e d’istinto cambia direzione, infine, come se non bastasse, deve far attenzione agli altri danzatori in pista. Replay.

Per prima cosa bisogna scegliere la ballerina. Avevo cercato di incrociare il suo sguardo durante la spiegazione del maestro e mi aveva fatto un mezzo sorriso, o così mi era sembrato. Al momento di fare le coppie, mi sono lanciato e l’ho invitata a ballare. Si chiamava Malena: carina, aria simpatica, sulla trentina come me.Ha accettato. Partita la musica, ho cercato di essere sciolto e rilassato e di ricordarmi i passi indicati dal maestro. Un tango dura 3 minuti circa. Le avrò pestato i piedi 5-6 volte. Piuttosto imbarazzato le dicevo continuamente: “Perdon!”. Alla fine della musica ha guardato il maestro e ha fatto un cenno con la mano, come fosse l’allenatore di una squadra di calcio. “Possiamo cambiare compagno?” ha chiesto. Mi sarei sotterrato. “E’ normale, per un uomo ci vogliono mesi e mesi di pratica”, mi ha detto come per consolarmi. Preso dallo sconforto sono andato al bar e non ho più avuto il coraggio di risalire in pista. Con il tango ho capito fin da subito che non avrei mai avuto speranza. E’ svanito così, sorseggiando al bancone un bicchiere di pessimo whisky locale, l’idea romantica del tanguero seductor. Continuo ad andare alla milonga, ma per i concerti, non a passo di tango, ma seduto vicino alla pista, ad un passo... dal tango.

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