Tracce d’Italia
Dopo la disquisizione d’obbligo sull’encomio delle carni argentine, vorrei aprire in questo spazio un argomento altrettanto caratteristico, l’elemento che porta l’Argentina a distinguersi rispetto ad altri paesi sudamericani. Parlo dell’evidente influenza dell’immigrazione italiana, che dalla seconda metà dell’800 al 1950 ha popolato e plasmato un paese che tutt’oggi ha una sua identità così meticcia da non poter essere considerata univoca, ma che allo stesso tempo, conserva tracce inequivocabili d’Italia da qualsiasi angolatura la si guardi.
Incominciamo quindi, ad esplorare questa italianità trapiantata, permeata ed inevitabilmente reinterpretata dall’altro parte del mondo. L’aspetto più evidente sono ovviamente i cognomi. Il computo esatto, in casi come questo è assai approssimativo, ma di certo ci sono almeno 2 milioni di persone che nel secolo della grande emigrazione ha deciso di attraversare l’oceano alla ricerca di miglior fortuna. Provate a pensare ad alcuni argentini famosi: Messi, Piazzola, Peron, Fangio, Ginobili, , Bergoglio e la lista potrebbe continuare all’infinito...
Dall’anagrafe passiamo alla tavola: pizza,focaccia, gelato,tiramisù, pesto, ravioli, gnocchi, bagnacauda e, il piatto nazionale dopo l’asado: la cotoletta alla milanese. E se la rivisitazione argentina della cucina italiana, è più scadente a livello di qualità, e più “sozza” in quanto a pesantezza, anche qui il problema è facilmente risolto. Cynar, Amaro Strega, Cinzano, Gancia e soprattutto ( come diceva un vecchio adagio pubblicitario) Fernet Branca. Portate nelle valigie degli ultimi immigrati, queste bevande, che in Italia ormai sono considerate poco attraenti dalle generazioni più giovani, qui hanno piantato radice e scandiscono i brindisi dei cugini d’oltreoceano. Anzi, il Fernet Branca, allungato con coca-cola, ghiaccio e limone è, in quest’ultimo decennio post-crisi, la bevanda nazionale. Quanto mai versatile perchè si beve sia come aperitivo, sia come cocktail, svolge le funzioni del nostro spritz, tanto quanto quelle del Cubalibre.
Un altro aspetto della contaminazione riguarda la lingua. Lo spagnolo rioplatense è una varietà piuttosto sul generis rispetto al castigliano di Spagna che siamo abituati ad ascoltare, essendo meno marcato nelle sue sillabe e nei suoi dittonghi più gutturali e sibilati. A detta di molti, più simile alla nostra lingua per quanto attiene alla cadenza. Ma non solo l’intonazione ha subito l’influsso della lingua italiana, anche il lessico si avvale di moltissimi prestiti, seppur siano perlopiù derivanti dai nostri dialetti, che non dalla lingua di Dante. Laburo, capo, fiaca, malandrin, facha tosta, gamba, atenti, guarda sono solo le parole che assomigliano ancora all’italiano contemporaneo. Ve ne sono centinaia che derivano dal piemontese, genovese, napoletano che, al mio orecchio, suonano sconosciute.
In conclusione, bisogna riconoscere che la battuta sarcastica del poeta messicano Octavio Paz, non era del tutto fuori luogo: “gli argentini sono italliani che parlano spagnolo e si sentono francesi”.