Per me, fare l'insegnante di italiano è uno dei lavori più gratificanti del mondo. Poter divulgare la mia lingua, la lingua del sì come l'aveva chiamata Dante è un vero privilegio. Se non fosse per il fatto che le giovani menti francesi non sono ancora del tutto pronte per ricevere tale importante sapere. Ora vi racconto.
Lavoro per un'associazione che ha sede in Savoia e che propone corsi di italiano per adulti e per bambini. A me hanno affidato entrambi, 3 corsi per adulti e 4 classi della scuola elementare. Che dire, ce n'è per tutti i gusti.
Tra i banchi dei corsi per adulti si possono trovare molti esemplari di pensionati iperattivi, di nonne appassionate di maglia e di opera e di suocere sotuttoio. Si possono, altresì, scorgere rare specie di uomini in carriera e casalinghe che (ovviamente) ne sanno sempre di più degli uomini in carriera.
Ecco, tutto questo sottobosco è il mio pubblico e ho il compito di farli avanzare nell'apprendimento della lingua senza annoiarli e inserendoli sempre in situazioni comunicative di tutti i giorni. Come me la cavo? Direi abbastanza bene, finché riesco a motivarli ed ad interessarli, il gioco è fatto. Tuttavia, appena c'è il minimo riferimento, la minima divagazione riguardo qualcosa che potrebbe non essere di loro gradimento, fanno scattare le loro braccia al cielo, come le gemelle Kessler quando cantavano dadaumpa, per esprimere il loro disappunto. Però, devo dire che la loro volontà è quella di imparare. Cioè, se decidono di alzarsi dal loro divano ed affrontare la tormenta gli uni, di stare ad ascoltare una che parla di verbi e coniugazioni dopo 8 ore in ufficio gli altri, questo significa che vogliono effettivamente imparare l'italiano.
Al contrario, i bimbi delle elementari non hanno ancora la capacità di fissarsi degli obiettivi. Perciò a loro non frega un fico secco se si dice maestra e non maestà, se dice uno due tre e non iunò diué trrré (da leggersi con la erre moscia). Rimangono perplessi tutte le volte che mi arrabbio se non scrivono sul quaderno quello che dico, se si mettono le dita nel naso quando mi parlano e se mi chiamano Lorà invece di Laura.
In compenso, questo lo devo ammettere, sono speciali perché si preoccupano sempre se mi manca la mamma o la nonna, vogliono sapere dove sono nata e se il mio papà mi ha insegnato ad andare in bicicletta ("ma quanto ci hai messo in bicicletta dall'Italia a Chambéry?"). In più, litigano per potermi tenere la mano quando, in fila indiana, li accompagno nel cortile per la ricreazione e tutte le volte che entro in classe mi regalano un disegno. I disegni dei bambini, nonostante non siano proprio delle opere d'arte, sono la cosa più bella che c'è. E' il loro modo per dirmi grazie e che mi vogliono bene anche se non capiscono niente di quello che dico.