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Cittadini nel mondo, le esperienze di chi si trova all'estero per studio, lavoro e svago.

Cammina cammina...

Cammina cammina...

Il primo inverno a Bruxelles trascorre lentamente, molto lentamente. 

Quest’anno il clima è rigido, con frequenti nevicate e abbondanti piogge. 

L’umidità e il freddo non sono il massimo per le mie ginocchia, le quali protestano vivacemente e quotidianamente con fitte continue e lancinanti. Anche la mia schiena pare non gradire troppo il clima de la Belgique. 

Gli amici di Torino mi prendono spesso in giro dicendo che son troppo vecchio per fare l’emigrante, che non ho più il fisico etc., altri scherzano sulle mie origini pedemontane: “ Ma come? Tu vieni dalla montagna, non dovresti patire il freddo!” . 

Cari simpaticoni, anche gli eschimesi nascono e abitano in luoghi freddi. Nonostante ciò, non ne ho mai visti in bikini.  

Durante questo periodo cammino molto. Strada per strada, quartiere per quartiere, negozio per negozio e pure tutti i ristoranti e i bar di Bruxelles Centro. 

“Bonjour, mi chiamo Andrea, ho 35 anni e ho lasciato l’Italia e sono qui in cerca di lavoro”. 

Sono centinaia i curricula lasciati. Commesso, lavapiatti, aiuto cuoco, cameriere. 

Sono altrettante le risposte ottenute e altrettanto varie: “Grazie, lasciaci pure il tuo CV qui!” nel migliore dei casi, oppure : “Ci dispiace, siamo al completo col personale e poi c’è la crisi!”. Le peggiori risposte sono sempre inerenti il bilinguismo: “Lei lo sa il fiammingo? Perché qua è obbligatorio sa?”, o la burocrazia: “Ha già il numero di registro nazionale?” gentilmente rispondo: “Guardi ho già avviato le pratiche e lo sto aspettando”, “Eh, ma fin che non ha il numero nazionale non può fare niente qui!”. Evviva….

La cosa più deprimente è che lavoro da quando avevo sedici anni. Alle superiori, durante le vacanze estive andavo a fare manutenzione in un’ industria cartaria delle mie parti. In vita mia, ho sempre studiato o lavorato. Non sono abituato a rimanere fermo. Odio dover farmi mantenere dai miei genitori, mi pesa più di ogni altra cosa. E’ deprimente.

Qua in centro città la situazione non si evolve e i giorni passano, non va bene. 

All’improvviso mi viene in mente una scena, a parer mio surreale, a cui assistetti da ragazzino su un treno: una signora di origini russe, dopo aver avuto una discussione telefonica parecchio animata col marito, raccontava all’amica di essere furiosa nei confronti del marito. La ragione? era di nuovo andato a lavorare in cantiere. 

Compresi che il problema stava nella differenza tra il costo delle scarpe e la paga giornaliera del marito. La signora sosteneva che il marito consumasse più scarpe di quello che avrebbe guadagnato. Avrebbe fatto meglio a restarsene a casa il marito, lei era venuta a lavorare in Italia proprio per mettere da parte dei soldi e non per comprare le scarpe da lavoro per il marito. Era nel pieno della crisi speculativa che ha colpito la Russia nel ‘98. 

Io ho camminato tanto, consumato scarpe, preso un sacco di freddo, ma concluso nulla. 

Subito penso: mi trovo un lavoro qualunque, provvisorio, per mantenermi e nel frattempo cerco altro, qualcosa che mi permetta di costruirmi una stabilità a lungo termine. 

No, non funziona. Bisogna rivedere la strategia iniziale. E’ necessario un salto di qualità. 

Il centro è saturo di gente in cerca di lavoro, bisogna andare verso la periferia. 

Ho una laurea, parlo tre lingue, conosco due mestieri, ho un sacco di esperienze lavorative in differenti settori produttivi e commerciali. 

Decido di ampliare il fronte della ricerca. 

 

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Un'avventura...

Un'avventura...

Il 30 dicembre 2012, un giorno che non scorderò mai. Scendo le scalette dell’aereo con passo incerto e tremolante. Sono parecchio emozionato e balbetto una sorta di ringraziamento  al personale di volo. Recupero la mia valigia, mi avvio verso l’uscita e inizia la nuova avventura!

In Belgio in cerca di lavoro, come per generazioni di connazionali prima di me, con l’entusiasmo di chi ha ancora voglia di mettersi in gioco. A Bruxelles, cuore delle Istituzioni europee, città da scoprire, da vivere, forse da amare, ci sono arrivato un po’ per caso. Una cara amica, in cerca di lavoro anche lei, mi ha offerto la possibilità di condividere un  piccolo alloggio nel centro della città.

Essendo già sera, la mia nuova coinquilina Alessia mi porta a cenare in una delle casette di legno dei mercatini di Natale. L’atmosfera è magica, ci sono le giostre, la ruota panoramica, le luci, i suoni, la gente felice che ride e scherza e c’è anche una mega pista da pattinaggio. Io mi preparo ad accostarmi alla cucina belga, non la temo, anzi sono curioso di provarla. Voglio scoprirne i sapori, le particolarità e soprattutto voglio farlo accompagnato da una buona birra belga. Le birre belghe sono rinomate, soprattutto quelle d’ abbazia, sono generalmente molto alcoliche e con un sapore molto intenso. Anche la cucina belga predilige i sapori forti. Qui non si scherza quando fa freddo, bisogna rifocillarsi per bene! La cosa non mi rincresce affatto. Sono un amante del cibo, ebbene sì, lo confesso. Decido di aprire le danze con la Carbonade alla Fiamminga, un secondo piatto a base di carne di manzo tagliato a pezzetti: una sorta di spezzatino cotto molto lentamente nella birra e arricchito con cipolle e aromi. Delizioso.

Chiesa di St. Catherine

Il freddo inizia farsi sentire, è pungente. Per riscaldarci, io e Alessia continuiamo la passeggiata in mezzo ai mercatini, ma non prima di aver preso due tazze di vin chaud. Conosciuto anche come vin brulé o Glühwein, le vin chaud è una bevanda calda a base di vino (tradizionalmente vino rosso), zucchero, scorze d’agrumi e spezie, preparata artigianalmente in pentoloni di rame e distribuita al pubblico durante le feste popolari nel periodo invernale.

Le luci di place St. Catherine, che illuminano la bellissima chiesa in stile gotico, e la bizzarra giostra che è posta al centro della piazza rendono l’atmosfera molto particolare, come se ci trovassimo in un film di Tim Burton. Di colpo rifletto su ciò che mi aspetterà l’indomani. Paure, timori, ansie, la ricerca di un sospirato lavoro. La mia amica pare accorgersene: non parlo da un po’, non ho neppure idea di quale smorfia si sia formata sul mio volto. Tirandomi per un braccio mi dice con tono deciso: “Al lavoro ci si pensa dopo Capodanno, domani è il 31”.  

Rientrando verso casa, la nuova casa, rifletto sulle parole di Alessia. E’ vero: poi, anno nuovo e una nuova avventura...

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La lingua del sì

La lingua del sì

Per me, fare l'insegnante di italiano è uno dei lavori più gratificanti del mondo. Poter divulgare la mia lingua, la lingua del sì come l'aveva chiamata Dante è un vero privilegio. Se non fosse per il fatto che le giovani menti francesi non sono ancora del tutto pronte per ricevere tale importante sapere. Ora vi racconto.

Lavoro per un'associazione che ha sede in Savoia e che propone corsi di italiano per adulti e per bambini. A me hanno affidato entrambi, 3 corsi per adulti e 4 classi della scuola elementare. Che dire, ce n'è per tutti i gusti.

Tra i banchi dei corsi per adulti si possono trovare molti esemplari di pensionati iperattivi, di nonne appassionate di maglia e di opera e di suocere sotuttoio. Si possono, altresì, scorgere rare specie di uomini in carriera e casalinghe che (ovviamente) ne sanno sempre di più degli uomini in carriera.

Ecco, tutto questo sottobosco è il mio pubblico e ho il compito di farli avanzare nell'apprendimento della lingua senza annoiarli e inserendoli sempre in situazioni comunicative di tutti i giorni. Come me la cavo? Direi abbastanza bene, finché riesco a motivarli ed ad interessarli, il gioco è fatto. Tuttavia,  appena c'è il minimo riferimento, la minima divagazione riguardo qualcosa che potrebbe non essere di loro gradimento, fanno scattare le loro braccia al cielo, come le gemelle Kessler quando cantavano dadaumpa, per esprimere il loro disappunto.  Però, devo dire che la loro volontà è quella di imparare. Cioè, se decidono di alzarsi dal loro divano ed affrontare la tormenta gli uni, di stare ad ascoltare una che parla di verbi e coniugazioni dopo 8 ore in ufficio gli altri, questo significa che vogliono effettivamente imparare l'italiano.

Al contrario, i bimbi delle elementari non hanno ancora la capacità di fissarsi degli obiettivi. Perciò a loro non frega un fico secco se si dice maestra e non maestà, se dice uno due tre e non iunò diué trrré (da leggersi con la erre moscia). Rimangono perplessi tutte le volte che mi arrabbio se non scrivono sul quaderno quello che dico, se si mettono le dita nel naso quando mi parlano e se mi chiamano Lorà invece di Laura.

In compenso, questo lo devo ammettere, sono speciali perché si preoccupano sempre se mi manca la mamma o la nonna, vogliono sapere dove sono nata e se il mio papà mi ha insegnato ad andare in bicicletta ("ma quanto ci hai messo in bicicletta dall'Italia a Chambéry?"). In più, litigano per potermi tenere la mano quando, in fila indiana, li accompagno nel cortile per la ricreazione e tutte le volte che entro in classe mi regalano un disegno. I disegni dei bambini, nonostante non siano proprio delle opere d'arte, sono la cosa più bella che c'è. E' il loro modo per dirmi grazie e che mi vogliono bene anche se non capiscono niente di quello che dico.

 

 

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La mia vita a Chambéry

La mia vita a Chambéry

Abito in Francia dal 2011. Ho vissuto un po' dappertutto nel grande esagono francese, da Lione a Tours e quest'anno eccomi qui a Chambéry, ridente cittadina della Savoia, incorniciata dalle Alpi. Devo ammettere che il salto dalle chilometriche spiagge dei lidi ferraresi alle vette rigogliose con mucche al pascolo mi ha un po' destabilizzato quest'estate, tanto più che, ancora adesso, quando faccio una strada in salita mi si tappano le orecchie. Perché la Francia? Perché è un paese che si muove e che, allo stesso tempo, ti aspetta. Si preoccupa che tu riesca a seguirlo, a patto che tu lo voglia. Ciò significa che qui, chi va avanti è perché se lo merita. E io che sono italiana, il valore della meritocrazia lo apprezzo più di altri.

Sono arrivata a Chambéry a fine agosto, quando ancora tutti erano in vacanza. Gli autobus erano sempre vuoti e non si faceva la coda per una baguette. C’era caldo e le lenzuola, al sole, si asciugavano subito. Ora c’è freddissimo, ho le mani e le labbra secche ed a tutte le ore del giorno le boulangerie sono piene di gente che è sempre di fretta.

Di lavoro inseguo un sogno, il che mi lascia il tempo anche di fare qualcos’altro. Insegno italiano in una scuola elementare e faccio anche dei corsi per adulti. Inoltre, a tempo perso, faccio "l'assistante d’éducation", detta anche più rusticamente bidella. In poche parole, sorveglio i bambini di una scuola durante la mensa e la ricreazione, propongo loro attività sportive e creative nei momenti liberi. Sono due gran belle esperienze, ed è un ottimo modo per farsi le ossa dato che il mio sogno è proprio quello di stare con i bambini ed insegnare.

Qui in Francia c’è, sì, il concorsone per diventare professore ma al contrario dell’Italia non ci sono liste d’attesa. Hai passato il concorso? Voilà il tuo contratto a tempo indeterminato. Unico neo? Il concorso è, giustamente, mio malgrado, durissimo e super selettivo.

Perciò, per darmi la forza di continuare a studiare e per tutti quelli che si rimboccano le maniche per ottenere ciò che vogliono senza aspettare che cada dal cielo propongo un brindisi virtuale. In alto i calici e cin cin, anzi no, santé!

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Premio Cittadinanza Responsabile

Premio Cittadinanza Responsabile

Questa sera il Sindaco della mia città e un noto ex pm milanese mi hanno consegnato insieme ai mie compagni di Occhio ai Media il "Premio Cittadinanza Responsabile".

Per noi è stato uno dei premi migliori perchè significa che Ferrara è fiera di noi e del nostro lavoro! 

La sala era piena e tutti erano molto attenti alla nostra presentazione.

Il pm ad un punto della serata ha detto: "i sudditi sono coloro che si lamentano senza fare nulla, i cittadini lavorano per far andar meglio le cose", e l'applauso è stato lunghissimo.

Sapere di essere importanti per i cittadini della propria città è molto soddisfacente e quando si sa di essere appoggiati dal Sindaco lo si è ancora di più, con il risultato di prestazioni migliori e tanta voglia di lavorare e rendere la propria città migliore.

Ancora più gratificante è stato vedere i miei genitori, tra le prime file, applaudire fieri di me, e pronti ad appoggiarmi in ogni cosa che faccio.

La serata è finita tardi, e appena arrivata a casa mi sono infilata sotto le coperte, stanca ma tanto tanto orgogliosa del lavoro a cui partecipo e dell'appoggio dei miei cari.

Buona notte a tutti e sogni d'oro..

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