francesi bevitori e cortesi

francesi bevitori e cortesi

I francesi non sono così freddi come si pensa. Sono persone accoglienti e calorose. Hanno solo un approccio diverso dal nostro nei riguardi dell'ospite.

Per esempio, immaginatevi di aver appena informato la mamma che domani vengono a pranzo due vostre amiche. Alt! Fermi tutti! Tutte le attività previste il giorno prima sono cancellate, la mamma si prende il pomeriggio di permesso perchè deve mettere in ordine casa (perchè tu e tua sorella avete una camera impraticabile!) e soprattutto deve preparare da mangiare. Allora, non ve lo sto neanche a dire che un semplice pranzo per una mamma italiana è formato da minimo tre portate. Trattasi solitamente di fiumi di tagliatelle fatte in casa condite con un ragù che ha sobbollito durante le ultime dodici ore, un arrosto con patate al forno e infine una crostata con marmellata di fichi raccolti proprio l'estate scorsa dietro casa.

Ecco, per una mamma francese le cose cambiano. Lei, per dimostrarti la sua ospitalità, ti prepara l'aperitivo.

Quindi, tu arrivi e entri in una casa discutibilmente mediocre (ho avvistato diverse volte gatti che camminano sui secchiai e calze sporche dietro ai divani) e ti fa accomodare in salotto, su un pouf scomodissimo. Sul tavolino rigorosamente senza tovaglia conti tre tartine, una a testa. Lei arriva e ti mostra fiera una bottiglia di vino rosso, tutta impolverata e ti dice che è un vino invecchiato che si sposa benissimo con il foie gras. Il vino, ovviamente, fa 15 gradi e la tartina insieme all'insalata mista che costituisce l'intero pasto non ti bastano per farti smettere di girare la testa. Però il fatto che abbiano aperta quella bottiglia con te, quel giorno, vuol dire che tu per loro sei importante e questa cosa scalda il cuore, anche se poi mentre torni a casa ti fermi a comprarti un panino.

 

Il vino in Francia è veramente qualcosa che non può mancare su nessuna tavola. Per loro il vino è un'arte, una scienza, una passione e un piacere. Bere un bicchiere di vino ascoltando musica jazz è per i francesi un rito ancestrale, come il caffelatte la mattina o lavarsi i denti prima di andare a letto. E' logico quindi come per esempio  sotto Natale i francesi si accalchino nei supermercati per accaparrarsi l'ultima bottiglia di champagne da 50 euro (la meno cara) mentre da noi la corsa è all'ultimo zampone. E, ça va sans dire, la guerra non è tra panettone o pandoro ma tra vino rosso fermo o vino bianco frizzante. 

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Sentirsi a casa in due case

Sentirsi a casa in due case

Tutte le volte che parlo con un ragazzo o una ragazza che vive all'estero cerco sempre di fare caso se quando parla della madre patria usa un termine chiave : casa.

Io, nonostante siano già 3 anni e mezzo che abito in Francia, parlo ancora del mio paesello in provincia di Ferrara come la mia casa. Anche se, negli ultimi tempi sono passata al livello superiore e cioè dico la "mia casa in Italia". E sì, per forza. Perchè io di case ne ho due.

Una, la prima e insostituibile è la casa dove sono cresciuta. Adesso che io e mia sorella abbiamo entrambe lasciato il nido è la casa dei miei genitori, ma io non riesco a smettere di considerarla mia. Quelle mura mi hanno vista gattonare, giocare a Barbie, litigare con i miei genitori, presentare a papà il mio primo amore e alla fine partire verso altri orizzonti.

L'altra casa non è ben definita, visto che negli ultimi anni ne ho cambiate 4, perciò per facilità penso sia la Francia in generale. In tutte le case in cui ho vissuto ho cercato di mettere qualche radice. Volevo che i muri e le stanze parlassero di me come la "mia casa in Italia". Quindi non vi sto neanche a raccontare gli andirivieni da Ikea o nei mercatini per trovare quel tocco che mi avrebbe fatto sentire a casa, come a "casa in Italia".

Poi ho realizzato che la casa non la fanno gli oggetti ma le persone. Sentirsi a casa non dipende dal tappeto o dal servizio da té, ma è un sentimento che subentra quando si sta bene con le persone che vivono con te.

E pensare che quando ero partita la prima volta, con la mia valigia di cartone, l'unico pensiero che avevo nella testa era di trovare la mia indipendenza. Ma cosa vuol dire poi indipendenza? Stare soli? Cavarsela da soli? Sapete che la lezione che ne ho tratto dalla mia esperienza all'estero è proprio il contrario: è bello poter contare su qualcuno, siamo e saremo sempre alla ricerca di qualcuno di cui ci possiamo fidare, di qualcuno con cui condividere, di qualcuno che intrecci la sua vita con la nostra.

Da quando sono in Francia ho stretto delle amicizie forti, sane, vere. Gli amici che ho trovato qui sono quelli che preparano il pranzo domenicale per e con me, sono quelli che chiamo se mi si rompe la lavatrice e quelli che arrivano alle 2 di notte perchè mi sono chiusa fuori. Non mi dimentico di dire che anche io per loro ho riempito borse dell'acqua calda per curare il mal di pancia, ho diviso il parmigiano reggiano che la mamma mi aveva spedito dall'Italia e ho preparato le mie prime lasagne al forno.

Questo per dirvi che a me piace avere due case. Partire è un ottimo modo per rafforzare i rapporti. Il sentimento che mi lega all'Italia, alla mia famiglia e ai miei amici è sempre acceso come un faro nella notte. Ma la mia casa in Francia è viva e si è creata un'altra famiglia. Quindi,e parlo soprattutto agli indecisi, partite, andate a conoscere, non abbiate paura, c'è sempre una casa che vi aspetta!

 

 

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Fiumi di burro

Fiumi di burro

Avvertenza a tutti gli interessati a trasferirsi in Francia: se avete il colesterolo alto, se siete in sovrappeso, se siete ipertesi e dovete evitare i grassi saturi, cambiate destinazione!

Ora vi spiego perchè. In Francia si mangia benissimo. Ci sono tantissime prelibatezze, piatti succulenti e dessert che sembrano disegnati per essere mangiati con gli occhi. L'unico problema è che tutto questo ben di Dio è a base di burro.

Il burro è il maschio alfa della cucina francese. E' il protagonista di tutte le ricette, dolci e salate e sono convinta che sia grazie a lui che sono così buone. I francesi lo venerano come i greci veneravano Zeus e lo amano come Romeo amava Giulietta. In suo onore, in ogni supermercato che si rispetti, un intero banco frigo viene consacrato a lui. Eh sì, perchè dovete sapere che qui in Francia non esiste solo un burro. Ne esistono di diversi tipi. Questo fatto ha creato due categorie di francesi, due partiti ben distinti: quelli che comprano il burro dolce e quelli che comprano il burro salato.

Il burro dolce è più o meno il burro al quale noi siamo abituati solo che è di colore giallo acceso per sottolineare il suo apporto generoso in grasso. Al contrario, il burro salato è, appunto, leggermente salato e la terra di origine di questo prodotto è la Bretagna. E' sulle coste bretoni, dove l'oceano si infrange sulle scogliere e forma le saline che si è pensato di unire il sale al burro ottenendo il "beurre salé".

Personalmente, e da questo si vede che non sono francese, non ho preferenze e soprattutto, lo dico sottovoce, non noto così tanto la differenza. E poi, devo dire che, da buona italiana, continuo ad usare molto più spesso l'olio di oliva.

Si trovano altresì diverse altre stranezze come il burro spray, il burro spalmabile dalla consistenza della Nutella, il burro con la pepite di cioccolato, il burro che si spruzza confezionato come ketchup.

Tutti questi burri solo alla base della piramide alimentare francese. Perciò, se vi capita di passare da queste parti non rinunciate al classico croissant, ad una fetta di brioche, alla fugace (una specie di focaccia) e se andate in Bretagna vi consiglio il dolce tipico kouing amann. Durante la degustazione soffermatevi sull'incredibile scioglievolezza di strati e strati di burro e alla fine verificate le vostra dita, saranno talmente unte che vi potrete ritenere soddisfatti dell'impresa compiuta.

Ora vi lascio, ho nel forno dei pomodori che sto facendo gratinare. Piccola astuzia francese: provate a metterci sopra un ricciolo di burro, vedrete che crosta!

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Natale in anticipo

Natale in anticipo

Un po' dappertutto in Francia, il Natale comincia a novembre. Il giorno di Ognissanti c'è solo una categoria di lavoratori che non può godersi il giorno di vacanza: i montatori di luminarie. Tutti gli anni i primi giorni di novembre loro sono lì ad assicurare ghirlande, abeti e Babbi Natali luminosi, scintillanti e anche un po' kitsch, a tutta la città.

Qui a Chambéry, è così. Catapultati nell'atmosfera di Natale con largo anticipo, gli "chambériens" non sembrano affatto esserne disturbati, anzi, è da un mese che attendono e fremono per l'evento dell'anno: l'apertura del mercatino di Natale. E mentre a me sembra di dover smaltire una sorta di jet lag, qui è già tempo di pupazzi di neve (finta, per il momento) e vin brulé. Ebbene sì, ieri 29 novembre, questo famoso mercatino ha aperto le porte ad una cosa come 50.000 persone che si sono riversate tra le stradine del centro in cerca del regalo perfetto o semplicemente di crêpes, gauffres e macarons.

Il mercatino di Natale di Chambéry ha lo stesso stile di quelli più famosi delle regioni della Francia dell'est come l'Alsazia e la Franca Contea, solo in versione mini. Se Strasburgo a dicembre è invasa dal mercato che si spinge fino alle porte della città, qui a Chambéry solo la via pedonale, quella più centrale è adibita all'accoglienza degli stand. Ci sono tante piccole casine di legno addobbate a dovere ed ognuna vende qualcosa di particolare e caratteristico. Si possono trovare: berretti e guanti di lane pregiate, saponi e saponette artigianali, miele e marmellate fatte in casa, dolci tipici regionali, gioielli e bijoux fabbricati a mano e tante altre cose. In più c'è lo chalet di Babbo Natale dove i bambini fanno la coda per evitare di scrivere la letterina e confessare direttamente al Père Noël i loro desideri.

L'atmosfera è calorosa e ti fa sentire a casa. Per me Natale vuol dire casa e camminare in mezzo alle luci sulle note di Jingle Bells è come se fosse partito il conto alla rovescia e significa che manca poco al momento in cui sarò seduta ad una tavola imbandita, davanti a un piatto di tortellini fatti dalla nonna e circondata dalla mia famiglia. 

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Io, me e Toto Cutugno

Io, me e Toto Cutugno

Essere un italiano all'estero non è sempre facile. Quando sono arrivata in Francia per la prima volta tre anni fa pensavo di essere accolta con entusiasmo e curiosità invece mi sono trovata davanti a situazioni tra le più disparate:

 - a cena dal direttore del liceo dove lavoravo. "Cara Laura, siamo contentissimi di avere un'italiana tra noi. Ma è vero che siete tutti mafiosi?". Ta dan! Questa è una domanda alla quale tutti gli italiani all'estero hanno dovuto rispondere. E così mi ritrovo a dover spiegare, nell'incredulità generale, che non i tutti gli italiani sono mafiosi e che, sopratutto, non tutti i mafiosi sono italiani. Non sempre il messaggio passa, anzi alcune volte mi hanno riproposto la stessa domanda e ho dovuto giurare di non far parte di nessun clan.

 - uscita tra amiche. Io, una tedesca e un'americana (ok, sembra una barzelletta ma è tutto vero) chiacchieriamo davanti a una tazza di té. La tedesca: "scusami sai, ma io non capisco proprio perchè voi italiani siete così mammoni. Lasciatele vivere ste mamme!". Innanzitutto, la mia mamma non l'avevo messa nella valigia e non la nascondevo neanche nell'armadio. Decido di cavarmela menzionando giusto quel fenomeno che si chiama "fuga di cervelli" per non entrare nel dettaglio. Lei mi risponde che non lo conosceva e che in Germania i cervelli rimangono al loro posto. Chiamali stupidi.

 - in discoteca. Un francese provolone si avvicina, scopre che sono italiana e mi urla nell'orecchio le tre parole italiane che conosce pensando di fare colpo: "pizza, spaghetti, Berlusconi", il tutto corredato da gesti strani. Lì, purtroppo non ho avuto la forza di ribattere, ho sorriso e ho rifiutato le sue avances con la scusa che non ero io la nipote di Mubarak.

 - al compleanno della mia collega francese. Arrivo a casa sua e mi ritrovo davanti a cinque ragazze biondissime, altissime e magrissime. Io quel pomeriggio ho il monociglio perchè ho perso la pinzetta e i miei capelli nerissimi sono gonfi perchè (che strano!!) piove. Lei mi presenta a tutte e intavola una conversazione di venti minuti sul fatto che per un pelo non mi chiamo come Laura Pausini. Cavoli, è proprio un peccato!

 - al mercato. Sono intenta a scegliere con cura la frutta e la verdura per la settimana, sorrido al venditore e gli porgo il mio bottino per pagarlo. Appena dico una parola lui riconosce l'accento e incomincia a parlarmi in un inglese maccheronico e lentissimo, scandendo le parole una ad una. Rimango interdetta un attimo poi capisco che lo sto facendo perchè pensa che io non capisca il francese. Eppure avevo parlato la sua lingua pochi secondi fa. Provo a dirgli che posso farcela a parlare francese, del resto è da un bel po' che abito qui. Niente da fare, il venditore premuroso mi risponde "o-k-e-y". Pago, me ne vado e nella mia testa gli faccio il gesto dell'ombrello.

Ce ne sarebbero tante altre di storie che mi sono capitate da raccontarvi ma mi fermo qui perchè sono sufficienti queste a farvi capire che spesso noi italiani siamo considerati i migliori in tanti campi, moda, cucina, arte. Ma in tanti altri casi ci troviamo a doverci scrollare di dosso alcuni degli stereotipi più antipatici. E' per questo che ogni tanto vorrei non prendermela e fare come Toto Cutugno, cantare con la chitarra in mano "sono un italiano vero!".

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La lingua del sì

La lingua del sì

Per me, fare l'insegnante di italiano è uno dei lavori più gratificanti del mondo. Poter divulgare la mia lingua, la lingua del sì come l'aveva chiamata Dante è un vero privilegio. Se non fosse per il fatto che le giovani menti francesi non sono ancora del tutto pronte per ricevere tale importante sapere. Ora vi racconto.

Lavoro per un'associazione che ha sede in Savoia e che propone corsi di italiano per adulti e per bambini. A me hanno affidato entrambi, 3 corsi per adulti e 4 classi della scuola elementare. Che dire, ce n'è per tutti i gusti.

Tra i banchi dei corsi per adulti si possono trovare molti esemplari di pensionati iperattivi, di nonne appassionate di maglia e di opera e di suocere sotuttoio. Si possono, altresì, scorgere rare specie di uomini in carriera e casalinghe che (ovviamente) ne sanno sempre di più degli uomini in carriera.

Ecco, tutto questo sottobosco è il mio pubblico e ho il compito di farli avanzare nell'apprendimento della lingua senza annoiarli e inserendoli sempre in situazioni comunicative di tutti i giorni. Come me la cavo? Direi abbastanza bene, finché riesco a motivarli ed ad interessarli, il gioco è fatto. Tuttavia,  appena c'è il minimo riferimento, la minima divagazione riguardo qualcosa che potrebbe non essere di loro gradimento, fanno scattare le loro braccia al cielo, come le gemelle Kessler quando cantavano dadaumpa, per esprimere il loro disappunto.  Però, devo dire che la loro volontà è quella di imparare. Cioè, se decidono di alzarsi dal loro divano ed affrontare la tormenta gli uni, di stare ad ascoltare una che parla di verbi e coniugazioni dopo 8 ore in ufficio gli altri, questo significa che vogliono effettivamente imparare l'italiano.

Al contrario, i bimbi delle elementari non hanno ancora la capacità di fissarsi degli obiettivi. Perciò a loro non frega un fico secco se si dice maestra e non maestà, se dice uno due tre e non iunò diué trrré (da leggersi con la erre moscia). Rimangono perplessi tutte le volte che mi arrabbio se non scrivono sul quaderno quello che dico, se si mettono le dita nel naso quando mi parlano e se mi chiamano Lorà invece di Laura.

In compenso, questo lo devo ammettere, sono speciali perché si preoccupano sempre se mi manca la mamma o la nonna, vogliono sapere dove sono nata e se il mio papà mi ha insegnato ad andare in bicicletta ("ma quanto ci hai messo in bicicletta dall'Italia a Chambéry?"). In più, litigano per potermi tenere la mano quando, in fila indiana, li accompagno nel cortile per la ricreazione e tutte le volte che entro in classe mi regalano un disegno. I disegni dei bambini, nonostante non siano proprio delle opere d'arte, sono la cosa più bella che c'è. E' il loro modo per dirmi grazie e che mi vogliono bene anche se non capiscono niente di quello che dico.

 

 

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La mia vita a Chambéry

La mia vita a Chambéry

Abito in Francia dal 2011. Ho vissuto un po' dappertutto nel grande esagono francese, da Lione a Tours e quest'anno eccomi qui a Chambéry, ridente cittadina della Savoia, incorniciata dalle Alpi. Devo ammettere che il salto dalle chilometriche spiagge dei lidi ferraresi alle vette rigogliose con mucche al pascolo mi ha un po' destabilizzato quest'estate, tanto più che, ancora adesso, quando faccio una strada in salita mi si tappano le orecchie. Perché la Francia? Perché è un paese che si muove e che, allo stesso tempo, ti aspetta. Si preoccupa che tu riesca a seguirlo, a patto che tu lo voglia. Ciò significa che qui, chi va avanti è perché se lo merita. E io che sono italiana, il valore della meritocrazia lo apprezzo più di altri.

Sono arrivata a Chambéry a fine agosto, quando ancora tutti erano in vacanza. Gli autobus erano sempre vuoti e non si faceva la coda per una baguette. C’era caldo e le lenzuola, al sole, si asciugavano subito. Ora c’è freddissimo, ho le mani e le labbra secche ed a tutte le ore del giorno le boulangerie sono piene di gente che è sempre di fretta.

Di lavoro inseguo un sogno, il che mi lascia il tempo anche di fare qualcos’altro. Insegno italiano in una scuola elementare e faccio anche dei corsi per adulti. Inoltre, a tempo perso, faccio "l'assistante d’éducation", detta anche più rusticamente bidella. In poche parole, sorveglio i bambini di una scuola durante la mensa e la ricreazione, propongo loro attività sportive e creative nei momenti liberi. Sono due gran belle esperienze, ed è un ottimo modo per farsi le ossa dato che il mio sogno è proprio quello di stare con i bambini ed insegnare.

Qui in Francia c’è, sì, il concorsone per diventare professore ma al contrario dell’Italia non ci sono liste d’attesa. Hai passato il concorso? Voilà il tuo contratto a tempo indeterminato. Unico neo? Il concorso è, giustamente, mio malgrado, durissimo e super selettivo.

Perciò, per darmi la forza di continuare a studiare e per tutti quelli che si rimboccano le maniche per ottenere ciò che vogliono senza aspettare che cada dal cielo propongo un brindisi virtuale. In alto i calici e cin cin, anzi no, santé!

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